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domenica 15 settembre 2024

Frammenti della mia filosofia - 65 - Chesterton e mia mamma, la permanente anticipazione della sorpresa.

Chesterton nella sua Autobiografia parla della

permanente anticipazione della sorpresa.

Ne parla a proposito di suo padre, che vi aveva educato lui e suo fratello Cecil; ebbene, anche io ci credo. 

Mamma, quando ero piccolo, sapevo che mi avrebbe fatto qualche piccola sorpresa: un giocattolino di poco valore (ricordo che un periodo mi riportava dal mercato degli elicotterini di plastica piccolissimi, del valore di cento - duecento lire a confezione), un gelato, o che avrebbe provveduto a me in qualche modo inaspettato.

La sorpresa era attesa ma non sapevi se e cosa sarebbe accaduto, e questo rendeva bello tutto.


Non erano così, erano ancora più semplici,
però un po' li ricordano...

Ecco, io ci sono cresciuto e ci credo ancora.

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Aggiornamento del 22 giugno 2025:

Felice è colui che ama ancora ciò che amava all'asilo: non è stato spezzato in due dal tempo; non sono due uomini, ma uno solo, ed ha salvato non solo la sua anima ma la sua vita.

Gilbert Keith Chesterton, Illustrated London News, 26 Settembre 1908.

lunedì 8 luglio 2024

In morte di Federica, gran pescatrice di anime.

È un bell'articolo scritto da un caro amico intelligente, qualora mai si perdesse ho preferito riprodurlo nel mio blog.

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Quante cose ha fatto nella sua vita, assieme al marito Marco. Tutte all'insegna di una fede solida, feconda e aperta all'incontro con l'altro.

Federica Graci Piermarini con la sua famiglia
Federica Graci Sermarini con la sua famiglia

Non riesco a immaginare la Compagnia dei Tipi loschi di San Benedetto del Tronto, la scuola parentale G.K. Chesterton, la cooperativa sociale Capitani Coraggiosi, la Polisportiva Gagliarda, la cooperativa Hobbit, il Centro educativo La Contea senza Federica Graci. Federica e Marco Sermarini sono stati la rappresentazione in carne ed ossa di che cosa sia la fecondità promessa dalla grazia sacramentale del matrimonio cristiano.

Siete matti, ce la farete

All’inizio c’è l’esitazione, la paura di non farcela. Federica, “turris eburnea” conquistata da Marco dopo un lungo corteggiamento, non voleva figli perché aveva paura del parto. Ha generato cinque figli a questo mondo e quattro in Cielo. Dopo che è nato Pier Giorgio, il primogenito la cui gestazione è stata accompagnata da infinite preghiere al Beato Frassati, la vita si è manifestata prorompente come un fiume in piena che non distrugge ma fertilizza lì dove passa. Dalla compagnia iniziale, che proseguiva l’originaria esperienza scout in termini non adulterati, raccomandata e benedetta dal vescovo, sono nati un doposcuola, poi le cooperative sociali, la società sportiva, la scuola parentale – l’azzardo, la follia che fece dire al loro amico Franco Nembrini(quello delle letture e dei libri su Dante) «voi siete matti, perciò riuscirete» – la collina di Santa Lucia prospiciente l’Adriatico trasformata in un centro educativo e conviviale che non poteva non chiamarsi La Contea.

Sono nati anche tanti figli, fratelli e sorelle nello spirito. Prova ne è il fatto che oggi che Federica è morta dicono: «Ho perso per la seconda volta mia madre», oppure: «ho perso una sorella». Quando aveva 20 anni, Federica pregava con le parole di san Giovanni Bosco: «Toglimi tutto, ma dammi le anime». Preghiera esaudita.

Una compagnia frassatiana-chestertoniana

Non sono in nessun modo l’avvocato dell’intellettuale e giornalista americano cristiano ortodosso Rod Dreher, ma per onestà intellettuale mi sono ritrovato a difenderlo persino davanti a un cardinale (di cui non dico il nome) dall’accusa di aver idealizzato nel suo libro L’Opzione san Benedetto un cristianesimo dei puri che si separano e si autosegregano dal mondo.

Non è così, ho precisato infinite volte, perché nel libro si fa qualche esempio concreto dello stile di vita cristiana che l’autore propone, e per quanto riguarda l’Italia l’esempio è proprio quello della frassatiana-chestertoniana Compagnia dei Tipi Loschi di san Benedetto del Tronto, da cui sono nate opere e una rete di rapporti umani assolutamente evangeliche. Tutto il contrario di una setta ripiegata su se stessa o di un’elitaria esperienza eremitica.

Il diavolo ha paura di chi ride

Bisogna saper uscire dagli schemi mentali di ogni tipo. Nella mentalità dominante, anche in ambienti ecclesiali, un soggetto che promuove una scuola parentale, ama e frequenta la Messa in rito antico celebrata dai monaci benedettini di Norcia (ma anche tutte le altre Messe) e dove un malato grave come Federica nelle ultime settimane offre le sue sofferenze per la guarigione niente meno che del cardinale Raymond Burke, proietta un’immagine arcigna, rigida, chiusa. E invece no, le cose stanno proprio all’opposto.

Le pecore bergogliane con quel loro odore, i poveracci, la gente comune, i piccoli, i timidi, i semplici, gli stranieri li trovate alla Contea, nelle aule della scuola parentale, al lavoro nelle cooperative sociali, a giocare con gli altri ragazzini nei centri estivi la cui gestione i comuni del comprensorio appaltano a loro (che strani questi cristiani chiusi nel loro rifugio: con una cooperativa gestiscono tre doposcuola con circa 120 tra bambini e ragazzi, cinque circolini con altri 185 tra bambini e ragazzi, sette centri estivi e un servizio di assistenza domiciliare, in una realtà piccola come San Benedetto del Tronto). E soprattutto trovate l’allegria, la letizia, l’ascolto, la gratitudine che in tutto vede un dono, l’arguzia nei giudizi sul mondo contemporaneo che sono il contrassegno della spiritualità di Pier Giorgio Frassati, di Gilbert Keith Chesterton, di san Giovanni Bosco. Diceva quest’ultimo: «Il diavolo ha paura della gente che ride». Esatto. E il beato Frassati: «Tu mi domandi se sono allegro; e come non potrei esserlo? finché la Fede mi darà forza, sempre allegro! Ogni cattolico non può non essere allegro: la tristezza dev’essere bandita dagli animi cattolici».

Una ecologia integrale

Alcuni hanno fatto fatica ad accettare la scelta di Federica e Marco di curare la malattia di lei sul posto, senza allontanarsi da San Benedetto per trovare altrove strutture più qualificate. Io me l’aspettavo, per quel poco che ho capito del loro rapporto con la vita e col creato. Non si può vivere e non si può morire lontano dagli affetti; non si sradica una pianta per curarla. Il luogo dove si nasce, si cresce, si mettono al mondo figli nella carne e nello spirito, si apre una scuola, ci si inginocchia a pregare, si compra un’intera collina nello spirito dei “tre acri e una vacca” del distributismo di Hilaire Belloc, è l’unico luogo al mondo dove si può vivere e morire, curare la vita e abbracciare la sua fine.

La Contea non è una romanticheria adolescenziale, l’orticoltura, il parco tutto composto di piante locali, l’allevamento degli asini e delle api, i laboratori di educazione ambientale con i bambini (finanziati anche con l’8 per mille della Chiesa Valdese! Della serie: i cattolici delle Messe in latino ripiegati su se stessi…) non sono fissazioni ecologiste. Sono l’ecologia integrale dell’uomo che ha i piedi piantati sul terreno con la stessa forza delle radici della quercia e la testa innalzata fra le stelle del Cielo di Dio.

Sempre presente

Non riesco a immaginare tutto questo senza Federica. E infatti continuerà a esserci. Fra i banchi che ospitano i 90 iscritti della scuola parentale cresciuta fino a diventare una combinazione di medie inferiori, liceo scientifico e istituto professionale, come nei momenti di festa e nelle occasioni di convivialità sul colle di Santa Lucia, continuerà ad essere presente.

A me che vivo a 500 chilometri da quei luoghi basterà prendere in mano il quadernone ad anelli con l’intestazione della Scuola libera G.K. Chesterton che mi donò due anni fa quando partecipammo a un pellegrinaggio in Terra Santa, per avvertire la di lei presenza. Nel frattempo è diventato il manoscritto di Una storia popolare, il libro intervista sulla vita di Roberto Formigoni che ho fatto in tempo a regalarle nel luglio scorso. Mentre stava per compiersi la tua preghiera, Federica: «Toglimi tutto, ma dammi le anime».

giovedì 21 marzo 2024

Frammenti della mia filosofia - 52 - Attenti alla parola “Stato”… - J. R. R. Tolkien.


Arresterei chiunque usi la parola Stato (intendendo qualsiasi cosa che non sia la terra inglese e i suoi abitanti, cioè qualcosa che non ha poteri né diritti né intelligenza); e dopo avergli dato la possibilità di ritrattare, se rimanesse della stessa idea lo giustizierei!.


John Ronald Reuel Tolkien, da una lettera citata in Stratford Caldecott, Il fuoco segreto.


sabato 2 marzo 2024

Creature sorprendenti.


'My dear Frodo!' exclaimed Gandalf. 'Hobbits really are amazing creatures, as I have said before. You can learn all that there is to know about their ways in a month, and yet after a hundred years they can still surprise you at a pinch.

John Ronald Reuel Tolkien, The Lord of the Rings.



domenica 31 dicembre 2023

A due anni dalla morte del mio amico mons. Luigi Negri.


 

Metto solo questa piccola foto, se poi lo ritroverò metterò anche l'articolo che scrissi a suo tempo. Quella foto è dell'ultima volta che è venuto alla festa di Pier Giorgio Frassati, serata seria, ma avevamo riso e scherzato insieme fino a pochi minuti prima, lui, Silvia Vayra, la mia cara moglie ed io.

Siamo amici e lo voglio ricordare.

Prego per la sua anima e gli chiedo di intercedere per noi sempre.

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Aggiornamento del 31 Dicembre 2023, ore 17.55: ho ritrovato l'articolo! Eccolo qui:

In ricordo dell’amico Mons. Luigi Negri


Il 31 Dicembre scorso è venuto a mancare mons. Luigi Negri, Vescovo emerito di Ferrara - Comacchio e Abate emerito di Pomposa. È stato un grande amico della nostra compagnia e un amico personale di molti di noi. Ecco un ricordo di Marco Sermarini.


La notizia mi ha colto impreparato e mi ha molto colpito. Un altro amico se ne va da questa terra e raggiunge la Vera Patria.


Ci conoscemmo a San Benedetto nel 1987; don Luigi Negri venne per presentare Claudio Chieffo, suo carissimo amico, e da quel giorno anche mio. Mi sembra di ricordare che Claudio venne per un concerto e farci ascoltare il suo nuovo disco che si intitolava Chieffo and Piano, ma di questo non sono certo… in ogni caso fu un’occasione che non mi lasciai scappare.

Ero ancora un bravo ragazzo, giovane e non troppo sfacciato, per cui tenni un profilo bassissimo con lui, dato la scorza di burbero, e capivo che mi trovavo davanti ad un intellettuale non da poco, una testa pensante di quelle che se ne trovano poche.

Invece vidi che, sì, era burbero, ma non disdegnava assolutamente il contatto con noi giovani, anzi in un certo senso lo cercava. Infatti prima del concerto e della sua breve introduzione si fermò allungo a parlare con noi, formula giudizi sul mio stato presente della Chiesa, offriva delle chiavi di lettura intelligenti, di grande respiro, affascinanti e soprattutto chiarissimi. Non avrei mai smesso di ascoltarlo.

Ero uno studente universitario e sinceramente per me fu un punto importante lungo la mia strada cristiana: capì che non era da buttare quello che alcuni amici ed io avevamo in mente in quegli anni per la Chiesa; ci ritrovammo molto in quello che lui diceva, in un certo senso ci diede una spinta determinante. Negli anni il rapporto è continuato: era facile incontrarlo al Meeting sia perché teneva sempre in quegli anni delle conferenze, bellissime, partecipatissime e intelligentissime (ritornassero..!), ma anche perché lo trovavamo spesso seduto nello stand di Claudio Chieffo. Lì teneva una specie di social club, più da piazza del paese che da salotto, molto ma molto sui generis, in cui ci si dedicava a vari sport: dalle previsioni sulle sorti della Chiesa a prendere in giro i figli di Claudio (in questo era il numero uno), ci riferiva episodi ecclesiastici che facevano ridere, poi si tornava sui massimi sistemi. Ma questa cosa era riservata a chi gli era amico.

Ho un bel ricordo di quando ci incrociamo al pellegrinaggio Macerata - Loreto nel 1996: lui aveva appena saputo della elezione di monsignor Gervasio Gestori a vescovo della nostra diocesi, e ci tenne a dirmi, appena mi vide: “avete un buon vescovo!“ insistendo più volte. Estemporaneo e a volte senza filtri (grazie a Dio), non rimaneva freddo di fronte a nulla, tanto meno a ciò che percepiva come una buona novità, e voleva comunicarlo a tutti. Lo ringraziai per le referenze positive che si rivelarono veritiere. Mi diceva così perché sapeva della nostra giovane compagnia e aveva speranza che il nuovo vescovo potesse accompagnarci e continuare a farci crescere.

Meno di dieci anni dopo lo ritrovo Vescovo di San Marino - Pennabilli, ultima nomina prima della morte di San Giovanni Paolo II. Qualche settimana prima lo contattammo per venire alla nostra festa, e non era ancora vescovo né sapevamo potesse diventarlo. Incaricai Giulio Giustozzi di concordare con lui una data possibile. Giulio ci raccontò una divertentissima telefonata in cui lui, vittima sacrificale, dovette subire tutti i suoi strali sui tipi loschi (ovviamente affettuosi anche se molto pungenti). Sentendo che Giulio, notoriamente persona educatissima e grande incassatore, non replicava, chiese: “ma io dico tutte queste cose e tu non dici niente?“ con il suo accento lombardo simpaticissimo. Ci stiamo ancora ridendo da quel giorno…

Un annetto dopo partecipai al congresso internazionale dei nuovi movimenti ecclesiali a Rocca di Papa. lo incontrai anche lì ed ebbi modo di mangiare più volte insieme a lui e ad altri simpatici peones come me. A parte la piacevolezza della sua presenza, la sua simpatia e il fatto di stare con un bravo vescovo come lui, quelle conversazioni ci servirono moltissimo per comprendere meglio quello che stavamo vivendo in quei giorni e in quegli anni. La sua chiarezza di giudizio era pari a nessun’altra.

Un’altra volta accettò di tenere una conferenza a Ferrara (di cui nel frattempo era diventato arcivescovo), insieme al mio amico John Kanu, l’eroe della Sierra Leone, e il malcapitato sottoscritto. La cosa più buona che mi disse fu: “Hai trovato Chesterton e ti sei riciclato…”. Anche qui mi feci tante risate. Era comunque il suo modo, di sicuro poco ortodosso, di esprimere tenerezza e affetto. Lo faceva anche con i miei figli quando lo incontravano…

Forse il momento più bello è stato quando un paio di anni dopo ci accolse in casa sua, dell’episcopio di Ferrara, nella sala più bella; entrammo in punta di piedi in quest’aula bellissima, in stile settecentesco, e lui ci aspettava già seduto al tavolo. Mi presentai con tutta la nostra scolaresca, in gita da quelle parti, un giro indimenticabile. Lì per lì mi accolse, come sempre, burberamente. Avevo osato chiedergli: “Eccellenza, come stai?” con il mio solito entusiasmo fuori posto. Mi rispose con un tono leonino: “come vuoi che stia, con la situazione attuale della Chiesa?“. Poi mi accolse paterno come sempre e mi comunicò immediatamente la sua compiaciuta meraviglia di vedere tutti questi ragazzi, alcuni anche molto piccoli, pronti e attenti ad ascoltarlo. Bimbi, liceali, tutti buoni in silenzio, pronti. Ci fece un breve discorso, una specie di benvenuto ma anche un incoraggiamento fortissimo a continuare a fare quello che facevamo, anzi a fare di più. Ascoltò anche qualche domanda, cui rispose compiutamente e con l’umiltà del grande ti ascolta il piccolo e lo prende sul serio. Ripartimmo veramente risollevati, non sempre troviamo nel nostro ambiente qualcuno che non solo apprezza il nostro sforzo quotidiano ma ha a cuore che noi andiamo fino in fondo alla nostra missione.

Qualche anno dopo mi chiese di far parte di un organismo che si occupa di sostenere la famiglia, l’educazione e la cultura, e ne fui come ancora sono entusiasta. Questo ci diede modo di vederci più spesso e di parlare a tu per tu, di collaborare, di costruire.

In una di queste simpatiche occasioni andiamo a casa sua con gli altri che condividono con me questa responsabilità. Ad un certo punto mi chiese della famiglia, e mi disse di salutare mia moglie con queste parole: “dille che tra i due il più fortunato sei tu… ma dille anche che a lei poteva andare peggio…!”. Questo il complimento più grande che mi hai fatto in vita, lo raccontai alla mia cara moglie e ci ridemmo tantissimo…

La preoccupazione per le famiglie, per l’educazione dei giovani e per la cultura cristiana sono sempre stati i suoi tre fari per la sua attività di pastore, di docente universitario, di sacerdote e a suo tempo di giovane laico.

Ha anche partecipato alla nostra festa annuale, l’ultima volta nel 2018, una serata bellissima in cui si unirono a noi centinaia di amici venuti anche da fuori per ascoltarlo parlare del libro, da poco uscito, L’Opzione Benedetto.

Caro don Luigi, mio amico e mio vescovo, mi spiace tanto che ci hai salutati! Sono certo che continuerai a fare il tifo per noi e ad aiutarci dal Cielo. Sono certo che con la tua solita rude bontà disturberai il Nostro Re perché ci sostenga, ci guidi e ci illumini. Io, a nome dei tipi loschi, ti dico che ci conto! Noi pregheremo sempre per te!


Marco Sermarini


Notizie biografiche


Sua Eccellenza Reverendissima Mons. LUIGI NEGRI è nato a Milano il 26 novembre 1941. Nasce e cresce in una famiglia umile e semplice ma fortemente radicata nella fede e impegnata sul piano ecclesiale e sociale. Riceve la prima educazione cristiana nella parrocchia di Sant’Andrea in Milano partecipando alla vita ecclesiale diocesana.

Dal 1955 al 1960 frequenta il liceo classico Berchet di Milano, dove incontra l’amico e ispiratore, Mons. Luigi Giussani di cui, dopo esserne stato uno dei suoi primi allievi, diventa uno dei primi e più stretti collaboratori entrando a far parte del Movimento Ecclesiale Gioventù Studentesca, fondato dallo stesso Giussani (nucleo originario di quella che sarà poi Comunione e Liberazione).

Si laurea a pieni voti in Filosofia nel giugno 1965 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, discutendo una tesi sul problema della Fede e della Ragione in Tommaso Campanella. Nell’autunno 1967 entra nel Seminario Diocesano Ambrosiano di Venegono. Viene ordinato sacerdote il 28 giugno 1972 dal Cardinale Giovanni Colombo, arcivescovo di Milano. Nell’ottobre 1972, dopo l’ordinazione, consegue la licenza in Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Il 17 marzo 2005 è nominato vescovo della Diocesi di San Marino-Montefeltro quando, fino all’ordinazione episcopale, resta docente di Antropologia Filosofica, Storia della Filosofia Moderna e di Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Riceve la ordinazione episcopale il 7 maggio 2005 per la imposizione delle mani e la preghiera consacratoria del Cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano essendo co-consacranti l’allora Mons. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, e Mons. Paolo Romeo, allora Nunzio Apostolico per l’Italia e la Repubblica di San Marino poi Cardinale arcivescovo di Palermo.

Mons. Negri prende possesso canonico della Diocesi il 22 maggio 2005 nella Cattedrale di San Pio V a Pennabilli. Sceglie come motto del suo stemma le parole «Tu, fortitudo mea». Il 1° dicembre 2012 è promosso arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa. Prende possesso canonico dell’Arcidiocesi il 3 marzo 2013 dove svolgerà il suo ministero episcopale reggendola diocesi fino alla nomina del successore il 15 febbraio 2017. Fin dagli inizi del suo apostolato, spende energie ed entusiasmo per i giovani e la scuola. La sua opera educativa contribuisce alla nascita, negli anni Settanta, di una significativa presenza cristiana nelle scuole medie superiori in Italia. Sono gli anni della battaglia per promuovere la libertà di educazione e un’autentica libertà di insegnamento. In questo campo, senza mai far venir meno il rispetto per altre posizioni politico-culturali, conduce un lavoro non facile e controcorrente rispetto all’associazionismo tradizionale e alla mentalità corporativa dominante che vede la scuola solo come serbatoio di posti di lavoro. In questo quadro nascono i primi due grandi convegni nazionali di Comunione e Liberazione del 1975 e del 1976, con la partecipazione di migliaia di insegnanti e di figure autorevoli della cultura e della politica scolastica di quegli anni. Accanto al lavoro pastorale, rivolto soprattutto ai giovani, monsignor Negri si dedica con passione allo studio attento e alla diffusione del Magistero Pontificio, in particolare quello di San Giovanni Paolo II, su cui tiene centinaia di conferenze, incontri, seminari in Italia e all’estero (ad esempio in Brasile, Polonia, Germania). Negli anni 1980-1985, insieme con un gruppo di docenti universitari e personalità ecclesiali, fra le quali il Card. Giacomo Biffi, il Card. Giovanni Saldarini, il Card. Lucas Moreira Neves, il Card. Jozef Tomko, il Card. Giuseppe Sepe, mons. Enrico Manfredini e Mons. Giovanni Marra, crea un comitato promotore dei Convegni per il Magistero Pontificio, che organizza molteplici attività sui punti più rilevanti del Magistero di Papa Wojtyla. Anche allo studio e alla diffusione della Dottrina sociale della Chiesa Negri offre un apporto decisivo, collaborando alla costituzione di una scuola permanente di formazione e diffusione della Dottrina sociale della Chiesa, che negli anni 1986-1990 ha fatto nascere numerose scuole, a livello diocesano o parrocchiale, per lo studio e la diffusione della stessa. Proprio nella diocesi di San Marino-Montefeltro costituisce, il 18 luglio 2005, come primo atto significativo del suo episcopato, la Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero Sociale della Chiesa ancora in piena attività.

giovedì 28 dicembre 2023

Questo visse San Paolo per amore di Nostro Signore Gesù Cristo.


A Judæis quinquies, quadragenas, una minus, accepi. Ter virgis cæsus sum, semel lapidatus sum : ter naufragium feci, nocte et die in profundo maris fui, in itineribus sæpe, periculis fluminum, periculis latronum, periculis ex genere, periculis ex gentibus, periculis in civitate, periculis in solitudine, periculis in mari, periculis in falsis fratribus: in labore et ærumna, in vigiliis multis, in fame et siti, in jejuniis multis, in frigore et nuditate, præter illa quæ extrinsecus sunt, instantia mea quotidiana, sollicitudo omnium ecclesiarum. 

Dai Giudei cinque volte ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte fui battuto colle verghe; una volta fui lapidato; tre volte naufragai; una notte e un giorno passai nell'abisso. In viaggi sono stato più volte, in pericoli di fiumi, in pericoli di pirati, in pericoli da parte della mia schiatta, in pericoli da parte dei Gentili; pericoli in città, e nel deserto, e sul mare; pericoli tra i falsi fratelli, in fatiche e pene, nelle veglie tante volte, nella fame e nella sete, nei frequenti digiuni, nel freddo e nella nudità. E oltre questi mali esteriori v'è il cruccio quotidiano che su me incombe, cioè la cura di tutte le Chiese.

2 Cor 11,24-28

domenica 17 dicembre 2023

Ancora una volta propongo questa bellissima foto dei Magnifici Sette.


Da sinistra a destra: Chris Adams (Yul Brinner), Vin (Steve McQueen), Chico (Horst Buchholz), Lee (Robert Vaughn), Bernardo O'Reilly (Charles Bronson), Harry Luck (Brad Dexter), Britt (James Coburn), cioè I Magnifici Sette, The Magnificent Seven, i protagonisti di uno dei miei film preferiti.

Il film si ispira espressamente (è scritto nei titoli iniziali a chiare lettere) ad un altro capolavoro, I sette samurai di Akira Kurosawa, ambientato nel Giappone dei samurai, che racconta la storia di un villaggio di contadini che, attraverso alcuni suoi rappresentanti, assume dei Rōnin (samurai senza padrone) per difendersi dai continui saccheggi di un gruppo di briganti.

Come ho già detto in altri post su questo mio blog personale, è proprio una bella storia: c'è di mezzo il coraggio, c'è la solidarietà, c'è il sacrificio, c'è l'eroismo semplice, il tutto concentrato in sette uomini piuttosto originali come in realtà lo è ciascuno di noi, che diamo il meglio di noi quando le circostanze lo suggeriscono e ciascuno di noi risponde, a proprio modo.

Un film che risveglia il senso di giustizia e di affetto verso chiunque incarni un poveraccio che va difeso dalla violenza e dalla prevaricazione, dall'ideologia e dal vuoto totale. 

A casa mia piace sempre (e voi direte: e chi se ne...? e io rispondo: però sappiatelo, a casa ci sentiamo tutti un po' Magnifici Sette, meglio non scherzare, meglio non fare casino con noi... 😉).


domenica 30 luglio 2023

Una lettera di un parroco sambenedettese di più di cento anni fa sull’emigrazione.

Sfogliando nuovamente il volume Il movimento cattolico a San Benedetto del Tronto Ripatransone e Montalto Marche tra Ottocento e Novecento del compianto e caro mons. Giuseppe Chiaretti, nostro vescovo fino al 1996, trovo qualcosa di grande interesse e attualità.

Spicca nell'opera la figura di mons. Francesco Sciocchetti di cui vi ho già parlato in questo medesimo blog. Qui è mons. Sciocchetti a descrivere il fenomeno dell'emigrazione nel suo territorio al suo vescovo. Ci sono delle considerazioni che calzano oggi come ieri e che la mia esperienza mi dice siano vere. Purtroppo la gente è confusa perché non ha vere guide, i cristiani lo sono altrettanto e si cerca errando di stare allineati alla cultura dominante, che è antiumana. Mi riferisco esplicitamente in quest’ultimo caso ai cattolici.
Oggi purtroppo si fa a gara per dimostrarsi favorevoli all’Agenda 2030, all’idea dominante per cui l’immigrazione sia un fenomeno felice ed ineluttabile (quando invece non lo è: perché non pensare ad aiutare lo sviluppo in un certo posto? Le masse sono comode quando sono governabili, cioè non radicate, non libere, dipendenti da un lavoro e dalle mode…), alla concezione del continuo sradicamento come dimensione normale dell’uomo, quando invece sappiamo bene che non è così, che non si è mai cittadini del mondo ma che si ama un determinato posto, come diceva il mio Chesterton.

Ammiro la grandezza e magnanimità del parroco, lo sguardo lucido e l'impegno senza posa, lo zelo apostolico. Così tutti dobbiamo essere se vogliamo andare in paradiso e non all'inferno.

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Parrocchia di Santa Maria della Marina
San Benedetto del Tronto

15 Marzo 1914

Eccellenza Rev. ma
Mi perdoni se le molteplici occupazioni mi hanno impedito di rispondere prima alla lettera circolare dell'E.V. riguardante l'emigrazione.
Purtroppo per me l'emigrazione è una vera disgrazia sotto l'aspetto religioso e morale. Una buona metà degli emigrati ritorna.
Procurerò di dare una statistica dell'ultimo quinquennio:
Anno 1909: Emigrati N. 255 - Della Parrocchia N. 209, dei quali
88 all'estero, 12 in Italia. Famiglie intere N. 6.
Anno 1910: Emigrati N. 252 - Della Parrocchia 177, dei quali
83 all'estero, 94 all'interno. Famiglie intere N. 4.
Anno 1911: Emigrati N. 194 - Della Parrocchia 165, dei quali
52 all'estero, 113 all'interno. Famiglie intere N. 5.
Anno 1912: Emigrati N. 443 - Della Parrocchia 293, dei quali
197 all'estero, 96 all'interno. Famiglie intere N. 9.
Anno 1913: Emigrati N. 553 - Della Parrocchia 386, dei quali
226 all'estero, 160 all'interno. Famiglie intere N. 8.

2. Gli emigrati si dirigono principalmente nell'America del Nord; a Chicago-Heights - S. Francisco - Colsville - Alaska. A Chicago Heights vi è un grande nucleo dei nostri emigrati colle mogli e figlie, cola si dirigono le nostre ragazze in numero rilevante a prendere marito e la vita religiosa vi e poco praticata per l'opera demolitrice d'alcuni dei più facinorosi settari che ivi si sono recati. Da un sacerdote della diocesi di Avellino, di nome Benzallo, si è costruita una Chiesa per gli italiani, ma per quanto mi costa non è molto frequenta-la dai nostri emigrati. Molti si recano a Buenos Aires, Rosario ed in altre città dell'Argentina. Non pochi si recano anche in Australia.

3. In via ordinaria trattasi d'emigrazione temporanea, ma in buon numero si sono formate famiglie che difficilmente torneranno più in patria.

4. Come può rilevarsi dalla statistica non partono molte famiglie intere, essendo la maggioranza degli emigrati composta d'uomini. Fanciulle isolatamente partono chiamate dai parenti, i quali hanno ad esse trovato un marito in America. A gruppi le fanciulle non partono.

5. La causa dell'emigrazione è quasi sempro la mania d'arricchire, non mancando il lavoro nel nostro paese tanto per i pescatori che per gli agricoltori.

6. Vi sono agenti di emigrazione, i quali sono guidati dal solo interesse e non si preoccupano punto né pro né contro dell'assistenza religiosa degli emigranti. in maggioranza gli emigrati ricevono il passaggio pagato dai parenti ed amici d'America.

7. Quasi tutti gli emigrati prima di partire vengono in Chiesa per accostarsi ai sacramenti e per salutare il Parroco e non si è certo avari di buoni consigli e si regalano loro e si mandano ai parenti immagini sacre, medaglie, libretti di devozione e si spediscono in buon numero copie del giornaletto L'operaio. Si mantiene per quanto è possibile relazione con molti e si mandano spesso i saluti e raccomandazioni che si mantengano fermi nella fede.

8. Ritornati in parrocchia non sono più, in maggior parte, quelli di prima ed è necessario qualche tempo prima che ritornino alle pratiche religiose. Non rinnegano la fede, ma tornano indifferenti specialmente i giovani. A New York e Chicago intenso è il lavoro delle sette protestanti, ma per quanto mi consta nessuno ha rinnegato la fede cattolica.
Al ritorno ho dovuto battezzare alcuni bambini ed unire vari in matrimonio. Nell'interno l'emigrazione è tutta di pescatori per le spiaggie del Mediterraneo, Spezia, Viareggio, Marina di Pisa, dove la vita e meno faticosa e più rimunerativo il lavoro per l'esistenza di porti e di canali per l'ancoraggio delle barche da pesca.
Sono centinaia di pescatori che tornano soltanto per qualche mese dell'inverno e poi vanno a riprendere la pesca dove si sono costituite molte famiglie. L'assistenza religiosa l'hanno dai parroci locali.

9. Riguardo a consigli è difficile darli perché l'unico scopo che guida gli emigrati è il guadagno e disgraziatamente tutto si sacrifica per ottenere questo scopo.

È bene parlare in Chiesa dei pericoli ai quali si trovano esposti emigrando specialmente nel America del Nord, dove non ci sono Chiesa e sacerdoti cattolici come nell'America del Sud. Il pericolo maggiore è per le donne perché, sovraccariche di lavoro non possono Intendere ai doveri religiosi, e, trovandosi in centri dove la corruzione a grande, perdono il sentimento del pudore e dell'onestà, che ancora Conservano nei nostri paesi. Prima che partono, oltre le prediche in Chiesa, è utile parlare agli emigrati come un padre che si preoccupa seriamente del loro avvenire, non solo, economico ma morale e religioso. 
Durante il viaggio poco o nulla può farsi perché la scelta dei piroscafi, dove è il sacerdote cattolico a bordo, non dipende da loro.
Nel luogo di emigrazione tutto dipende da un buon sacerdote o missionario che ivi si trova.
Sarebbe indispensabile che in ogni città o centro d'emigrazione ed anche in ogni Parrocchia ci fosse un ufficio d'emigrazione che si trovasse in relazione con un ufficio centrale e si potesse con una seria organizzazione dirigere e dare un aiuto efficace agli emigrati nei luoghi di sbarco.
Fino ad ora l'opera dei Parroci è isolata e quindi poco fruttifera: credo che se ad un'opera organizzata dei Parroci d'Italia corrispondessero le autorità religiose d'America, le condizioni morali e religiose dei nostri emigrati non sarebbero così disastrose come si deplorano.

Bacio il S. Anello e mi professo dev. mo servitore.

Francesco Sciocchetti Parroco

martedì 21 febbraio 2023

Ciao, Clementina (Maggio 2019).

Siccome mi sono accorto che il mio piccolo articolo su Clementina, la nostra amica asinella morta nel Maggio 2019, non c'è più nel sito dove l'avevo messo, ho pensato di rimetterlo qui, nel mio blog cioè a casa mia.

Rileggendo questo brano di Fabrice Hadjadj mi è tornato in mente il mio piccolo articolo, come pure mi sono tornate in mente tante, tante cose. Allora ho pensato di riproporlo ai miei amici che seguono queste riflessioni.

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Ciao, Clementina!

Da qualche anno, come molti sanno, ospitiamo delle asinelle: Zambrotta (scatta sulla fascia, nervosetta, come l'omonimo giocatore di calcio di qualche anno fa che militava nella Nazionale Italiana...), Agostina (tranquilla...) e Clementina. Ci fanno compagnia, soprattutto sono amiche dei nostri bambini e di quelli dei tanti amici che abbiamo in città, in Italia e nel mondo. Molti, soprattutto numerosi lettori del blog di Rod Dreher, ci associano agli asini, per colpa di qualche mia battuta (ho detto che dopo che i cavalli purosangue sono scomparsi dalla scena un asino può ben fare il loro lavoro, e che Nostro Signore arrivò non a caso a dorso di un puledro d’asina nella Città Santa...) e qualche foto che mi vede in loro compagnia.

A noi piace così.

Clementina era la veterana del gruppo, circa quaranta anni. Ci ha salutato qualche giorno fa, purtroppo. Era davvero vecchietta e gli acciacchi si facevano sentire. Abbiamo cercato di curarla come potevamo, e di trattarla affettuosamente fino all’ultimo.

Dico purtroppo perché sinceramente mi dispiace di non averla più tra gli ospiti della nostra Contea. Era sempre contenta di stare con i bambini delle nostre “Favole in stalla”, e apprezzava molto la loro festosa e a volte esuberante compagnia. In un certo senso, come può un animale, era una di noi.

Io andavo a trovarla, spesso con gli ospiti a cui mostro il nostro piccolo villaggio, e mi accoglieva sempre con piacere: era la prima ad avvicinarsi, nonostante la fatica. I momenti più divertenti per me erano quando le portavo le mele o altri frutti del nostro terreno che non potevano essere consumati da noi uomini. Mi vedeva arrivare con il secchio e mi veniva subito incontro facendo onore ai doni.

Quando ci siamo visti l’ultima volta mi ha salutato muovendo l’orecchio (è un bel segno per un asino: mia mamma, quando entravo a casa senza salutare, mi apostrofava dicendo che anche l’asino “scutórë lë rècchië”, ossia scuote le orecchie).

Qualcuno può anche pensare che questo piccolo necrologio sia fuori luogo, ma non fa nulla, lo pensi pure. Di certo non si può dimenticare il nobile animale che portò sul suo dorso il Nostro Re, e comunque io volevo bene a Clementina.

Allora viva Clementina, ringraziamo Nostro Signore per l’umile compagnia che questo animale ci ha fatto, e che ci dia in sorte di portare lo Stesso Nobile Passeggero che quel compagno di Clementina felicemente portò a Gerusalemme.

Marco Sermarini

Era proprio come si disegnano gli asini, la nostra amica.

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Aggiornamento del 26 Marzo 2023:

L'articolo su Incontra.it c'era, solo in un altro posto, ed allora rieccolo qui:

giovedì 28 aprile 2022

Alfie Evans, l'onore delle armi anche quattro anni dopo (2018 - 2022).


Nel buon tempo antico
 c’era l’uso dell’onore delle armi: si onoravano anche quelli che avevano perso ma che avevano dimostrato una grande virtù, un grande coraggio, e avevano comunque lottato per la loro causa.


Io sono qui a rendere omaggio, l’onore delle armi a questo piccolo grande combattente. Alfie è stato il capo di un popolo, e certo questo ha potuto essere per l’intelligente compagnia che gli ha fatto suo padre. Il capo di un popolo, di un popolo che non accetterà mai di cambiare il bene con il male, di considerare il vizio virtù, che non accetterà che i desideri anche i più degenerati possano diventare diritti in questa società senza Dio e senza amore all’uomo.

Alfie ci ha guidato: l’abbiamo visto davanti a noi precederci, e perché c’era lui - come diceva San Giovanni Paolo II - abbiamo potuto alzarci in piedi e dire la nostra protesta a questa disumanità che avvolge tutto.

Onore a te, piccolo Alfie, l’onore delle armi.

Mons. Luigi Negri, Arcivescovo emerito di Ferrara - Comacchio e Abate emerito di Pomposa, 28 Aprile 2018