sabato 24 maggio 2025
sabato 17 maggio 2025
domenica 19 novembre 2023
Tre gassose.
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Eccola com'era...! |
Il rituale era semplice: partivamo da casa a piedi, da via Carducci 29, e raggiungevamo la stazione ferroviaria, non troppo distante. Lì prendevamo il bus urbano, che mia madre ancora chiamava "il postale". Era verde, mi pare che la ditta che faceva il servizio si chiamasse Romanelli. Mi piaceva quell'ondeggiare appesi al palo, e il campanello che mamma suonava per ricordare all'autista la nostra fermata. Il bigliettaio con la borsa di cuoio nero, la camicia azzurra e il berretto, bello in carne, incastrato in quella specie di scranno da cui distribuiva pacifico i bigliettini.
Andavamo allo stabilimento "Il Delfino", sottotitolato in sambenedettese "Lu Talafé". Avevamo l'ombrellone e la cabina, arrivavamo e mamma mi diceva: "Aspetta un po' prima di farti il bagno...". Mai capita la ragione di quest'attesa, ma comunque rendeva il bagno più - appunto - atteso. So che oggi è una cosa sconosciuta e incomprensibile ai più. Finalmente arrivava l'ora del bagno, tuffi, giochi con la sabbia, tuffi ancora, e poi si usciva, asciugamano, cambio del costumino, pizzetta bianca e gassosa.
La gassosa era ovviamente la gassosa Roncarolo, prodotta a San Benedetto del Tronto dalla ditta di colui che fu uno dei più rispettati presidenti della Sambenedettese Calcio. Ricordo le bottiglie trasparenti, le prime erano rigate all'esterno, con la scritta impressa sul vetro, poi più avanti divennero lisce. È facile dire che oggi mi sembra di risentirne il sapore. Con la cannuccia d'ordinanza (erano incartate e speravo sempre mi capitasse il colore preferito), era il momento più bello della mattina passata al mare, poco prima di andare a casa per il pranzo.
La gassosa la compravamo al mare, allo stabilimento, costava cinquanta lire credo. Si andava vicino alle cabine dove c'era un frigorifero a pozzetto di quelli alimentati da quelle colonne di ghiaccio che una volta si fabbricavano vicino al porto, quindi non azionati elettricamente. C'era un ombrellone o una specie di tettoia, e lì c'era lui, l'Unglesë.
Questo nome stava scritto in piccolo in un angolo del già citato cartello dello stabilimento: "Da l'Unglesë".
"Da L'Unglèsë" e "Lu Talafé" davano un senso di esotico a tutto, per me bambino. La persona citata merita poi un discorso a parte.
L'Unglesë doveva essere un marinaio in pensione. Per me era alto, non so quanto lo fosse veramente, e la sua figura torreggiava burbera sulla spiaggia. Pantaloncini corti di tipo militare beige scoloritissimi tanto da sembrare un reduce di El Alamein, canottiera di lana scura tutta l'estate (mamma la chiamava "la majë dë la salótë", la maglia della salute... mah), pelle raggrinzita del colore del cuoio, stempiato, la bocca perennemente piegata verso il basso in una smorfia non si capiva se scorbutica o sprezzante o semplicemente perché quella era la piega della sua bocca, e gli occhi coperti da due palpebre così spesse che non si intuiva mai se vegliasse o stesse dormendo. Ma non dormiva.
Girava con un motorino 50 con dei resti di colore rosso, tipo un Guzzino o qualcosa del genere, con una cassetta del pesce di color crema presa al mercato ittico del porto e munita dello stemma comunale rosso e blu, legata con una specie di "ragno", fisso, sempre, una specie di portapacchi artigianale molto diffuso dalle nostre parti.
E poi quel nome...
Non si capiva se era dovuto al fatto che biascicasse qualche parola di inglese, o se tra i mille mari navigati ne avesse visti anche dei colori dell'Union Jack o più semplicemente se parlasse in un modo talmente incomprensibile da sembrare appunto inglese. Io avrei giurato si trattasse della terza ipotesi.
Non ne ho mai saputo il vero nome.
Allora, dopo il bagnetto e tutto il resto andavi da lui con le cinquanta lire in mano, chiedevi una gassosa, lui la tirava fuori dal pozzetto con il ghiaccio a colonna e te la stappava seduta stante con uno stappabottiglie appeso ad uno spago da qualche parte, e poi ti ci schiaffava dentro la cannuccia, e tu pago di tanto piacere andavi via felice. Quasi sempre.
Noi bambini sambenedettesi sapevamo che dovevi limitarti a dirgli il numero delle gazzose che volevi, e lui ti accontentava, togliendoti di mano gli spicci che ti aveva dato mamma, brusco come tutto era brusco in lui. D'altronde si capiva che non era tipo da intavolare conversazioni.
I problemi nascevano da richieste "originali" o da altri intoppi.
Quella mattina fu segnata da un piccolissimo intoppo.
Eravamo in fila indiana davanti a lui. Davanti a me c'era una bambina dai capelli scuri, piccolina, partita fiduciosa. Io dietro con il mio soldino.
La piccola si avvicina e chiede a L'Unglesë nel suo parlare: "... tre gaszòszeee..." (tre gazzose pronunciate con accento di qualsivoglia dialetto italiano di derivazione celtica: lombardo, veneto, "dell'Àlditalië", ossia dell'Alta Italia, eccetera...).
L'Unglesë: "Chë vu'?!?".
La povera bambina prova ad insistere con voce che si fa tremante: "Tre gaszòszeee!".
Io dietro di lei - forse ero più grande di lei, comunque non avevo più di sei anni, ne sono certo - sarei anche intervenuto, ma prudentemente tacqui.
L'Unglèsë insiste col medesimo tono, forse leggermente più perentorio: "Chë vuuuu'?!?".
La poveraccia gli fa, ormai in lacrime: "Tre gaszòseeee!!!".
Lui la riguarda con uno degli occhi normalmente semichiusi che si fa leggermente più aperto, lei a quel punto scappa a gambe levate piangendo verso la mamma. Io dietro: "Una gassosa!!!" con un tono da sergente di giornata, forte e chiaro, e con le cinquanta lire sciolte sulla manina. Gassosa schiaffata nell'altra mano con la cannuccia d'ordinanza e via, evaporo con nonchalance ma leggermente scosso anche io. Però un po' mi viene da ridere, poi.
Sono passati più di cinquanta anni ma ho ancora vivo davanti agli occhi l'episodio e ci rido, ci rido a crepapelle tutte le volte che lo rivedo scorrere nella mia mente immersa nel sole dell'infanzia. Il nostro eroe dei sette mari che era nato e cresciuto ruvido, e sempre ci rimase, né più e né meno di tanti nostri concittadini, per me rappresenta una specie di fumetto, di ritratto dei nostri marinai, abituati più a discutere col mare e col vento e a gridare potenti maledizioni a lu scijò. Razza in via d'estinzione, purtroppo. La bambina chissà dove sarà, forse ancora scappa, poverina. Io sono qui, contento di essere nato e cresciuto in questo porto di mare pieno di sole e di una certa sana ignoranza.
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San Benedetto del Tronto e la sua spiaggia in quegli anni |
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domenica 22 ottobre 2023
Festa del nostro Santo patrono, Cambanò, foto di rito e vrëdëttë.
Sono andato a fare una visita al Santo per onorarlo e chiedergli aiuto per la mia città e per me ed i miei amici che ci viviamo, perché torni ad essere tutta cristiana, e lì chi ho incontrato? Il mio amico zio Mario in ottima compagnia, cioè sua moglie Laura e le sue graziosissime figliole.
#SanBenedettodelTronto #Sammenedettecarebillemi
giovedì 20 aprile 2023
martedì 11 aprile 2023
Studio sul dialetto Sambenedettese (tratto dal sito vocidellamiagente.it)
Oggi ho scoperto l'esistenza di questo sito sul dialetto sambenedettese, il mio dialetto, il dialetto di mia madre e di mia nonna. Me ne compiaccio, complimenti agli autori.
Riporto l'inizio di questo studio fatto dal compianto Francesco Palestini, il resto lo troverete nel suo sito, cioè nel collegamento sotto al testo.
Studio sul dialetto Sambenedettese
A cura di Francesco Palestini
Il dialetto sambenedettese, conservatosi integro nel cuore di quel lembo di Pretuzio a nord del Tronto che nel medioevo aveva subito) ove più. ove meno) l’influenza delle parlate ascolana e fermana, è caratterizzato dall’ ammutolimento delle vocali di sillaba poco accentata, miracolo, meràcule; lucertola, lecèrte; morire, meré; Matilde, Metélle. Uguale fenomeno si verifica negli Abruzzi, nel Molise, nella Puglia settentrionale, in Campania ed in Basilicata, mentre invece” i dialetti propriamente definiti marchigiani sono caratterizzati principalmente dalla mancanza di vocali indistinte.
La parola si spegne in -e muta e tale terminazione si spinge, pure se contrastata, fino all’Aso, dove è infine bloccata da quelle fermane in -u ed anche in -o. A Montalto, Montedinove,• Rotella, Castignano, Maltignano e ad Ascoli stessa, pur prevalendo il ‘fenomeno, si hanno anche finali in -a, -a semimuta, come nella zona abruzzese-molisana-campana-basilisca.
Diffusa la metafonesi per il cambio di genere (bune, bòne; frésche, frèsche; bbille, bbèlle) e anche di numero (ibòve, buve;· prète, prite), come comunemente nelle Marche e negli Abruzzi, con esiti peraltro generalmente diversi da paese a paese.
https://www.vocidellamiagente.it/cose-il-dialetto-sambenedettese/
martedì 21 marzo 2023
sabato 14 gennaio 2023
venerdì 16 dicembre 2022
Maggio 1974, forza Samb!!!
Ho trovato questo bell'articolo che rievoca la promozione della Sambenedettese in serie B dopo il campionato 1973 - 1974. Mi ha fatto ricordare tante cose, la gioia semplice di tutti noi, piccoli e grandi, per questo bel traguardo. Io avevo nove anni. Racconta bene, sia dal punto di vista calcistico che storico che sociale:
https://www.ilmartino.it/2020/02/samb-ravenna-la-storica-sfida-del-74/
Questa foto rende bene l'idea del clima che si viveva in quei giorni, allora l'ho presa a prestito dall'articolo.
Mesi fa ho scritto questo post. Io non sono un tifoso, ma quando la gente è contenta e fissata per cose buone, me ne rallegro, partecipo. Quando serve, sono anche critico verso i miei concittadini, ma alla fine sono sempre grato al Padreterno per avermi fatto nascere qui:
https://marcosermarini.blogspot.com/2022/02/la-samba-samba.html
Una cosa così, per ridere.
giovedì 15 dicembre 2022
Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 4 | Una parola perduta.
Quattro anni fa circa scrissi questo post:
Parole perdute!
Questa non l'avevo mai sentita. Grazie al compianto Francesco Palestini che l'ha conservata.'Frahiéme, autunno. Certamente derivato dall'alterazione di una particolare costruzione latina "infra hiemen (=al di sotto dell'inverno, prima dell'inverno)" usata al posto del corrispondente "autumnus".
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Sammënëdèttë 'n 'frahiéme |
Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 3.
Canasse, mento; a Montefiore canasce.
Mia madre lo usava per estensione intendendo anche la dentiera. Una volta eravamo ad un pranzo per una festa di amici di famiglia e c'era il nonno, molto anziano e un po' selvaggio, che non aveva cura che la dentiera gli cadesse continuamente.
Tornati a casa mia madre mi disse, tra l'infastidito e il divertito:
«...e ppù 'llu vicchië jë së caschì sembrë la canassë...».
Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 2.
Proviene sempre da Il dialetto sambenedettese di Francesco Palestini, edito dal Circolo dei Sambenedettesi.
A-ttòrze, a zonzo; vagabondando 'tturz jènne (o 'tt'(e)rzijènne, come si comincia a dire): la parola deriva dal fenicio tur, che ha lo stesso significato del francese tour, 'giro'; essa dunque caratterizza il fannullone che non ha voglia di fare nulla e perde il tempo a camminare in circolo, senza scopo, oppure qua e là senza meta, come un fiume tutto anse e giravolte, attardato dalla pianura, che non trova più la dritta via che conduce al mare.
Per estensione oggi ne è invalso l'uso anche nel significato di "molto".
Un mio amico, quando facevamo il liceo, giocava a Space Invaders e, vedendo tutti gli omini pronti ad ucciderlo diceva: "i mammëccéttë a ttorzë!".
domenica 22 maggio 2022
Leopardi. La necessità di una fede ragionevole - di Giovanni Fighera | da La Nuova Bussola Quotidiana.
Negli anni, progressivamente, ho riscoperto l'importanza di Giacomo Leopardi, di alcuni dei suoi Canti che lessi sin da piccolo (dalle scuole medie in poi) e che oggi trovo bellissimi (avete presenti quelle parole che impariamo a memoria, magari non ne abbiamo tanta voglia, però pian piano trovano casa dentro di noi e riemergono quando serve, se glielo permettiamo...?), e uno dei miei desideri e delle mie speranze è che quest'uomo abbia abbracciato Gesù in qualche momento salvifico della sua vita. Che ci posso fare se penso all'erbaiuol, a questa siepe, a quello infinito silenzio, all'artigiano con l'opra in man, ai fanciulli gridando, agli interminati spazi e ai sovrumani silenzi, alla gallina tornata in su la via e le sento cose mie?
Ho letto questo articolo di Giovanni Fighera e ne trovo interessanti alcune considerazioni. Lo propongo ai lettori di questo blog perché ci fa leggere i desideri più profondi e più veri, così seri, dell'animo di Giacomo Leopardi.
Marco Sermarini
La ragione al suo apice si apre alla fede, spalanca la sua finestra sul Mistero. Così Leopardi scrisse nello Zibaldone che le «illusioni» – ciò che il cuore desidera – «non son vere se non rispetto a Dio e a un’altra vita»
https://lanuovabq.it/it/leopardi-la-necessita-di-una-fede-ragionevole
venerdì 10 dicembre 2021
Bello il Polittico di Carlo Crivelli ad Ascoli Piceno!
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Aggiornamento del 13 Marzo 2023:
Quando scattai questa foto, grosso modo nel giorno in cui la pubblicai, il polittico era smembrato e pronto per il riassemblamento dopo il restauro. Quindiquello che vedete è solo una parte del tutto. Molto bella l'arte dei Crivelli, così ricca e fantasiosa.