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mercoledì 27 agosto 2025

La vera resistenza - A San Benedetto del Tronto si dice "zózzë" e mai "zuzz".

In sambenedettese non si dice "Mimmo lu Zuzz", bensì "Mimmë lo zózzë" (al più "lu zozz" -- la e con la dieresi esprime il suono della e tronca tipico della nostra lingua; di sicuro è meglio "lu zozz" de "lu zozze"...).

Molti di voi conosceranno e stimeranno la nota pizzeria sita al centro della nostra cittadina.

Quando la sento chiamare "Mimmo lu Zuzz" ho la stessa sensazione del gessetto che stride sulla lavagna.

"Lu zuzz" non è dialetto sambenedettese bensì della Vallata del Tronto. Ho parte delle mie radici che affondano in terreno spinetolese, che è Vallata del Tronto e ne sono orgoglioso, ma è un altro dialetto. A San Benedetto non si dice così.

È giusto per fare uno dei tanti esempi del cedimento del nostro dialetto nei confronti di quelli delle aree circostanti.

Tra l'altro i proprietari della pizzeria ce l'hanno scritto pure, quindi perché inventi...?




venerdì 27 giugno 2025

Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 8 - Termine dall'etimologia misteriosa!

Vattezzìre, dice Francesco Palestini "botte da orbi, all'impazzata" che sull'etimologia  ipotizzava: "forse da 'battere' e 'giro'?".

Mi sono arrovellato per decenni. Ho pensato anch'io così, ma sono poco convinto quanto probabilmente lo era Palestini, con quel punto interrogativo...

Ho pensato che quel -zzìre sia un esito come quello de lu tappëzzìrë (il tappezziere), o come lu barëvirë (il barbiere), ma che sarebbe il "vattezziere" (o "battezziere"?)? Non lo so proprio.

Poi vado sulla Treccani e mi scappa fuori questo:

batteżżière s. m. [der. di battezzare]. – Sacerdote che ha l’incarico di battezzare, in vece del parroco; più comunem. detto battista.

Nelle espressioni colloquiali ho spesso sentito dire cose tipo: "vieni qua che ti battezzo io..." come per intendere "ti sistemo io", per quanto il rito del battesimo cristiano non comprenda nessun tipo di.. "contatto fisico", al contrario della cresima che nel rito antico prevedeva che il cresimato ricevesse un piccolo schiaffo dal vescovo, a sacramento impartito.

Per me resta un mistero. A mamma ho sentito dire molte volte anche "lu vattezzìre de le palmë"... e qui il mistero si infittisce.

Se qualcuno lo sa, batta un colpo (o rimarrà un mistero insondabile come lu rebbëvéssë?)...





giovedì 26 giugno 2025

Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 7 - Interessante termine liturgico.

Patràccule, bàttola, crotalo, troccolo: arnese di legno che si usa come surrogato delle campane per chiamare i fedeli in chiesa il Venerdì ed il Sabato Santo, quando i sacri bronzi tacciono.


#liturgia #sambenedettese #SanBenedettodelTronto #dialetto

domenica 22 giugno 2025

Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 6 - Domattina.

Dëmaténë cioè domattina, domani mattina.

Ma la cosa in sé non ha niente di speciale se non che mia mamma e tutto il parentado sambenedettese non si limitava a dire "dëmaténë" ma solo apparentemente rafforzava il concetto dicendo "dëmaténë a maténë", con ciò svelando che in realtà "dëmaténë" significasse semplicemente "domani"...

🤷🏽‍♂️


#SanBenedettodelTronto #dialetto #sambenedettese

domenica 19 novembre 2023

Tre gassose.

Eccola com'era...!


Estate, forse dell'anno 1970, massimo 1971. San Benedetto del Tronto, la mia bella città, in estate è splendida e sempre piena di sole. Giugno, luglio, agosto, ho solo ricordi di giornate inondate di sole e di luce che accende i colori, mare azzurro, sabbia calda, palettina e secchiello.

Il rituale era semplice: partivamo da casa a piedi, da via Carducci 29, e raggiungevamo la stazione ferroviaria, non troppo distante. Lì prendevamo il bus urbano, che mia madre ancora chiamava "il postale". Era verde, mi pare che la ditta che faceva il servizio si chiamasse Romanelli. Mi piaceva quell'ondeggiare appesi al palo, e il campanello che mamma suonava per ricordare all'autista la nostra fermata. Il bigliettaio con la borsa di cuoio nero, la camicia azzurra e il berretto, bello in carne, incastrato in quella specie di scranno da cui distribuiva pacifico i bigliettini. 

Andavamo allo stabilimento "Il Delfino", sottotitolato in sambenedettese "Lu Talafé". Avevamo l'ombrellone e la cabina, arrivavamo e mamma mi diceva: "Aspetta un po' prima di farti il bagno...". Mai capita la ragione di quest'attesa, ma comunque rendeva il bagno più - appunto - atteso. So che oggi è una cosa sconosciuta e incomprensibile ai più. Finalmente arrivava l'ora del bagno, tuffi, giochi con la sabbia, tuffi ancora, e poi si usciva, asciugamano, cambio del costumino, pizzetta bianca e gassosa.

La gassosa era ovviamente la gassosa Roncarolo, prodotta a San Benedetto del Tronto dalla ditta di colui che fu uno dei più rispettati presidenti della Sambenedettese Calcio. Ricordo le bottiglie trasparenti, le prime erano rigate all'esterno, con la scritta impressa sul vetro, poi più avanti divennero lisce. È facile dire che oggi mi sembra di risentirne il sapore. Con la cannuccia d'ordinanza (erano incartate e speravo sempre mi capitasse il colore preferito), era il momento più bello della mattina passata al mare, poco prima di andare a casa per il pranzo.

La gassosa la compravamo al mare, allo stabilimento, costava cinquanta lire credo. Si andava vicino alle cabine dove c'era un frigorifero a pozzetto di quelli alimentati da quelle colonne di ghiaccio che una volta si fabbricavano vicino al porto, quindi non azionati elettricamente. C'era un ombrellone o una specie di tettoia, e lì c'era lui, l'Unglesë.

Questo nome stava scritto in piccolo in un angolo del già citato cartello dello stabilimento: "Da l'Unglesë".

"Da L'Unglèsë" e "Lu Talafé" davano un senso di esotico a tutto, per me bambino. La persona citata merita poi un discorso a parte.

L'Unglesë doveva essere un marinaio in pensione. Per me era alto, non so quanto lo fosse veramente, e la sua figura torreggiava burbera sulla spiaggia. Pantaloncini corti di tipo militare beige scoloritissimi tanto da sembrare un reduce di El Alamein, canottiera di lana scura tutta l'estate (mamma la chiamava "la majë dë la salótë", la maglia della salute... mah), pelle raggrinzita del colore del cuoio, stempiato, la bocca perennemente piegata verso il basso in una smorfia non si capiva se scorbutica o sprezzante o semplicemente perché quella era la piega della sua bocca, e gli occhi coperti da due palpebre così spesse che non si intuiva mai se vegliasse o stesse dormendo. Ma non dormiva.

Girava con un motorino 50 con dei resti di colore rosso, tipo un Guzzino o qualcosa del genere, con una cassetta del pesce di color crema presa al mercato ittico del porto e munita dello stemma comunale rosso e blu, legata con una specie di "ragno", fisso, sempre, una specie di portapacchi artigianale molto diffuso dalle nostre parti.

E poi quel nome...

Non si capiva se era dovuto al fatto che biascicasse qualche parola di inglese, o se tra i mille mari navigati ne avesse visti anche dei colori dell'Union Jack o più semplicemente se parlasse in un modo talmente incomprensibile da sembrare appunto inglese. Io avrei giurato si trattasse della terza ipotesi.

Non ne ho mai saputo il vero nome.

Allora, dopo il bagnetto e tutto il resto andavi da lui con le cinquanta lire in mano, chiedevi una gassosa, lui la tirava fuori dal pozzetto con il ghiaccio a colonna e te la stappava seduta stante con uno stappabottiglie appeso ad uno spago da qualche parte, e poi ti ci schiaffava dentro la cannuccia, e tu pago di tanto piacere andavi via felice. Quasi sempre.

Noi bambini sambenedettesi sapevamo che dovevi limitarti a dirgli il numero delle gazzose che volevi, e lui ti accontentava, togliendoti di mano gli spicci che ti aveva dato mamma, brusco come tutto era brusco in lui. D'altronde si capiva che non era tipo da intavolare conversazioni. 

I problemi nascevano da richieste "originali" o da altri intoppi. 

Quella mattina fu segnata da un piccolissimo intoppo.

Eravamo in fila indiana davanti a lui. Davanti a me c'era una bambina dai capelli scuri, piccolina, partita fiduciosa. Io dietro con il mio soldino. 

La piccola si avvicina e chiede a L'Unglesë nel suo parlare: "... tre gaszòszeee..." (tre gazzose pronunciate con accento di qualsivoglia dialetto italiano di derivazione celtica: lombardo, veneto, "dell'Àlditalië", ossia dell'Alta Italia, eccetera...).

L'Unglesë: "Chë vu'?!?".

La povera bambina prova ad insistere con voce che si fa tremante: "Tre gaszòszeee!".

Io dietro di lei - forse ero più grande di lei, comunque non avevo più di sei anni, ne sono certo - sarei anche intervenuto, ma prudentemente tacqui.

L'Unglèsë insiste col medesimo tono, forse leggermente più perentorio: "Chë vuuuu'?!?".

La poveraccia gli fa, ormai in lacrime: "Tre gaszòseeee!!!".

Lui la riguarda con uno degli occhi normalmente semichiusi che si fa leggermente più aperto, lei a quel punto scappa a gambe levate piangendo verso la mamma. Io dietro: "Una gassosa!!!" con un tono da sergente di giornata, forte e chiaro, e con le cinquanta lire sciolte sulla manina. Gassosa schiaffata nell'altra mano con la cannuccia d'ordinanza e via, evaporo con nonchalance ma leggermente scosso anche io. Però un po' mi viene da ridere, poi.

Sono passati più di cinquanta anni ma ho ancora vivo davanti agli occhi l'episodio e ci rido, ci rido a crepapelle tutte le volte che lo rivedo scorrere nella mia mente immersa nel sole dell'infanzia. Il nostro eroe dei sette mari che era nato e cresciuto ruvido, e sempre ci rimase, né più e né meno di tanti nostri concittadini, per me rappresenta una specie di fumetto, di ritratto dei nostri marinai, abituati più a discutere col mare e col vento e a gridare potenti maledizioni a lu scijò. Razza in via d'estinzione, purtroppo. La bambina chissà dove sarà, forse ancora scappa, poverina. Io sono qui, contento di essere nato e cresciuto in questo porto di mare pieno di sole e di una certa sana ignoranza.

San Benedetto del Tronto
e la sua spiaggia in quegli anni

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Aggiornamento del 22 giugno 2025:

Felice è colui che ama ancora ciò che amava all'asilo: non è stato spezzato in due dal tempo; non sono due uomini, ma uno solo, ed ha salvato non solo la sua anima ma la sua vita.

Gilbert Keith Chesterton, Illustrated London News, 26 Settembre 1908.

martedì 20 dicembre 2022

Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 5 | Rëbbëvéssë (e mo vi ci voglio).

Rëbbëvéssë: risuscitare, rinascere, per estensione di chi si ricrea tanto da sembrare nato nuovamente.

L'etimologia? È qua che vi volevo! La sto cercando da anni, ma non sono mai riuscito a formularla in alcun modo. Se qualcuno dovesse saperla o scoprirla, lo accoglierò a braccia aperte.

Molto usato a San Benedetto, ma anche nella Vallata del Tronto, a quanto pare.

È un termine talmente lontano dai suoi significati italiani che tutte le volte che lo sento mi suscita grande ilarità e contentezza. Il suono stesso provoca allegria, una specie di muggito, qualcosa di rustico e positivo, beneaugurante e allegro.

Ho un bellissimo ricordo della mia infanzia, nell'epoca in cui non si mandavano prosaici sms ma poeticissime cartoline illustrate. Io ero molto piccolo, sapevo appena leggere. Arrivò una cartolina da Chianciano Terme; zio Tonino, fantasista eclettico in quanto veterinario, pittore e fondamentalmente uomo di spettacolo (bastava stare con lui e ci si divertiva), era andato a fare le terme e dall'amena località toscana ci inviò il seguente testo:


Un saluto a tutti, rinfrancati e ribbeviti


Per un bambino piccolo come me, di sei o sette anni, vedere scritta una parola in dialetto su una cartolina era di per sé un motivo di riso notevole. La stessa scrittura, un vago elegante corsivetto, era di per sé ridanciana. Ancora adesso ci ripenso e rido... 

venerdì 16 dicembre 2022

Maggio 1974, forza Samb!!!

Ho trovato questo bell'articolo che rievoca la promozione della Sambenedettese in serie B dopo il campionato 1973 - 1974. Mi ha fatto ricordare tante cose, la gioia semplice di tutti noi, piccoli e grandi, per questo bel traguardo. Io avevo nove anni. Racconta bene, sia dal punto di vista calcistico che storico che sociale:

https://www.ilmartino.it/2020/02/samb-ravenna-la-storica-sfida-del-74/

Questa foto rende bene l'idea del clima che si viveva in quei giorni, allora l'ho presa a prestito dall'articolo.

Mesi fa ho scritto questo post. Io non sono un tifoso, ma quando la gente è contenta e fissata per cose buone, me ne rallegro, partecipo. Quando serve, sono anche critico verso i miei concittadini, ma alla fine sono sempre grato al Padreterno per avermi fatto nascere qui:

https://marcosermarini.blogspot.com/2022/02/la-samba-samba.html

Una cosa così, per ridere.

giovedì 15 dicembre 2022

Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 4 | Una parola perduta.

Quattro anni fa circa scrissi questo post:

Parole perdute!

Questa non l'avevo mai sentita. Grazie al compianto Francesco Palestini che l'ha conservata.

'Frahiéme, autunno. Certamente derivato dall'alterazione di una particolare costruzione latina "infra hiemen (=al di sotto dell'inverno, prima dell'inverno)" usata al posto del corrispondente "autumnus".


Complice la perdita incipiente della memoria, oggi l'ho ritrovata qui in questo blog come se l'avessi vista per la prima volta. In realtà questo fenomeno non mi è nuovo; a volte cerco delle cose su internet su un determinato argomento, poi le scopro e dico: - ma questo ha scritto esatto quello che volevo dire io! per poi scoprire che ero io, e mi compiaccio, certamente non della bravura ma del fatto che nonostante tutto vada d'accordo con me stesso...

Mi ha creato quindi un bello stupore rinnovato, dono prodigioso del rimbecillimento (qualcuno mi consola dicendo che debbo tenere a mente tante, troppe cose, ma sono un po' scettico...).

Al tempo stesso mi ha dato un pizzico di malinconia il pensare che questa parola davvero non si usi più, come d'altronde tante altre che non conosco né mai ho sentito. Però intanto sta qui, e i pochi lettori lo sapranno. 

Spero che pensino di tramandarlo a figli e nipoti, che qui a San Benedetto autunno non si dice "autunno", ma 'frahiéme!

Sammënëdèttë 'n 'frahiéme


Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 3.

Canassemento; a Montefiore canasce.

Mia madre lo usava per estensione intendendo anche la dentiera. Una volta eravamo ad un pranzo per una festa di amici di famiglia e c'era il nonno, molto anziano e un po' selvaggio, che non aveva cura che la dentiera gli cadesse continuamente. 

Tornati a casa mia madre mi disse, tra l'infastidito e il divertito: 

«...e ppù 'llu vicchië jë së caschì sembrë la canassë...».


 

Dizionario della mia lingua, il sambenedettese - 2.

Proviene sempre da Il dialetto sambenedettese di Francesco Palestini, edito dal Circolo dei Sambenedettesi.

A-ttòrzea zonzo; vagabondando 'tturz jènne (o 'tt'(e)rzijènne, come si comincia a dire): la parola deriva dal fenicio tur, che ha lo stesso significato del francese tour, 'giro'; essa dunque caratterizza il fannullone che non ha voglia di fare nulla e perde il tempo a camminare in circolo, senza scopo, oppure qua e là senza meta, come un fiume tutto anse e giravolte, attardato dalla pianura, che non trova più la dritta via che conduce al mare.

Per estensione oggi ne è invalso l'uso anche nel significato di "molto".

Un mio amico, quando facevamo il liceo, giocava a Space Invaders e, vedendo tutti gli omini pronti ad ucciderlo diceva: "i mammëccéttë a ttorzë!".

domenica 13 febbraio 2022

La Samba Samba e il Pontino Lungo.

Quando ero piccolo, mio padre a volte mi portava a vedere la partita di calcio della Sambenedettese, o meglio della Samba. Quando la Samb fu promossa in serie B al termine del campionato 1973 - 1974, andai spessissimo a vederla. Mi ricordo il gran pavese di bandiere rossoblu di cui era ornata la nostra cittadina. Un palazzo vicino alla stazione era addirittura foderato interamente di rossoblu su una parete, e il bandierone portava una B al centro. Tanta gioia, tanta allegria.

Mi ricordo che il passaggio obbligato per arrivare allo stadio comunale "Fratelli Ballarin" era il famoso Pontino Lungo, che scorreva sotto i binari della ferrovia dalla zona di piazza San Giovanni Battista verso il porto. Si sentiva l'odore della muffa e del metallo bagnato, per terra c'era sempre qualche piccola pozzanghera d'acqua, e ricordo che ai due capi del piccolo tunnel, bassissimo, c'erano due piloncini di metallo per impedire che ci si entrasse con dei mezzi (mi sono sempre chiesto: quali?). I passi delle persone facevano rimbombare con un suono quasi metallico questo passaggio per molti obbligato (di certo per noi che abitavamo più vicini alla Nazionale lo era), ed era il momento in cui il flusso dei tifosi cominciava ad unirsi in uno o due arterie, le due vie che collegavano lo stadio al centro, via Dari e viale Colombo. Lì si facevano gli incontri, si parlava, si commentava, si auspicava la sperata vittoria, si criticava... Si chiedeva al vicino, spesso ignoto: "Tó chë décë? Chë fa ujë la Samba?"...

Oggi è così, come lo vedete. Di sicuro messo molto meglio, con i gloriosi colori della nostra città e della nostra squadra. Però un po' risento quell'odore di muffa, e la muffa sveglia i ricordi che tornano alla mente con piacere.

Una volta, al termine della partita, pochi passi prima del Pontino Lungo mio padre ed io incontrammo un signore, forse un marinaio. Salutò in maniera rustica ma rispettosa mio padre dicendo: "Oh, detto'!". Mio padre non ha mai conseguito nessuna laurea ma è sempre stato apostrofato e stimato così. Continuò: "Oh, detto', sci véštë ujë Clëmèndë? Cë vëli' 'na pëndórë dë chèllë chë sci datë a mè!"... Traduco: "Oh, dottore, hai visto oggi Chimenti? (il genius loci sambenedettese è fondamentalmente una costante revisione o devastazione delle parole, dei nomi, dei verbi, dei significati. Clëmèndë era l'attaccante Francesco Chimenti, la bandiera e l'orgoglio di quegli anni) Ci voleva una puntura di quelle che hai dato a me!". Spiego. Mio padre faceva l'informatore medico del farmaco, per cui a volte riceveva richieste di campioni e di consigli sulla salute, che lui volentieri dava e per i quali otteneva stima e gratitudine. Questo simpatico soggetto sottintendeva che a lui quelle pëndórë avevano fatto molto bene, forse ricostituenti, ed era certo che avrebbero potuto sortire un buon effetto anche su Chimenti che evidentemente non aveva fatto una prova brillantissima...

Ci rido ancora adesso, a quasi cinquanta anni dall'accaduto...

Se andate su SoundCloud i miei figli e i loro amici hanno tirato fuori questo...

https://soundcloud.com/giovani-raccontano/sets/samb?utm_source=clipboard&utm_medium=text&utm_campaign=social_sharing

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Aggiornamento del 22 giugno 2025:

Felice è colui che ama ancora ciò che amava all'asilo: non è stato spezzato in due dal tempo; non sono due uomini, ma uno solo, ed ha salvato non solo la sua anima ma la sua vita.

Gilbert Keith Chesterton, Illustrated London News, 26 Settembre 1908.

lunedì 27 gennaio 2020

Dizionario sambenedettese con effetto casualità.

La sistematicità non è il mio forte, alla fine trovo la cosa bella ma a volte limitante, pertanto lu vóttë jessë commë më se créjë... (dal sambenedettese, trad. lett. "come mi si crea", cioè così in maniera casuale ed inopinata).

Ora mi sono ricordato di un bellissimo vocabolo sambenedettese che avevo dimenticato ma che, visti i tempi che corrono, va rivalutato e rimesso in circolo, cosa che farò quanto prima (non circostanzio meglio per carità cristiana):

Spresciachiuvë: letteralmente "spremitore di chiodi"; dicesi di persona parsimoniosa e dalla spiccata attitudine al calcolo, ai limiti della taccagneria.

domenica 15 dicembre 2019

venerdì 1 novembre 2019

Viaggio in Italia: tra Fano e San Benedetto del Tronto - Rai Teche - La mia città con la voce e nelle parole di Guido Piovene.

L'acuto Guido Piovene
Negli ultimi minuti di questa puntata di Viaggio in Italia, del bravo Guido Piovene, si parla della mia città e dei suoi abitanti.

Parla delle sue antiche vele, dei primati della sua pesca.

Come siamo?

"Gli ardimentosi pescatori di San Benedetto del Tronto si spingono dovunque...".

"Una colonia e una razza a parte...".
Sambenedettesi a Lussino, Dalmazia, primi anni del XX secolo.


"Fantastici, violenti, pronti alla rissa...".

http://www.teche.rai.it/1956/01/viaggio-in-italia-tra-fano-e-san-benedetto-del-tronto/

lunedì 9 aprile 2018

Il mio bellissimo dialetto, un classico...

Espressione plastica ed efficace, soprattutto in senso figurato...

Presóre, fango, sterco. I nostri pescatori usano il termine anche per indicare un qualsiasi ostacolo sottomarino su cui incappano con le reti, riportando gravi danni alle reti stesse ed al pescato.