domenica 31 dicembre 2023

A due anni dalla morte del mio amico mons. Luigi Negri.


 

Metto solo questa piccola foto, se poi lo ritroverò metterò anche l'articolo che scrissi a suo tempo. Quella foto è dell'ultima volta che è venuto alla festa di Pier Giorgio Frassati, serata seria, ma avevamo riso e scherzato insieme fino a pochi minuti prima, lui, Silvia Vayra, la mia cara moglie ed io.

Siamo amici e lo voglio ricordare.

Prego per la sua anima e gli chiedo di intercedere per noi sempre.

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Aggiornamento del 31 Dicembre 2023, ore 17.55: ho ritrovato l'articolo! Eccolo qui:

In ricordo dell’amico Mons. Luigi Negri


Il 31 Dicembre scorso è venuto a mancare mons. Luigi Negri, Vescovo emerito di Ferrara - Comacchio e Abate emerito di Pomposa. È stato un grande amico della nostra compagnia e un amico personale di molti di noi. Ecco un ricordo di Marco Sermarini.


La notizia mi ha colto impreparato e mi ha molto colpito. Un altro amico se ne va da questa terra e raggiunge la Vera Patria.


Ci conoscemmo a San Benedetto nel 1987; don Luigi Negri venne per presentare Claudio Chieffo, suo carissimo amico, e da quel giorno anche mio. Mi sembra di ricordare che Claudio venne per un concerto e farci ascoltare il suo nuovo disco che si intitolava Chieffo and Piano, ma di questo non sono certo… in ogni caso fu un’occasione che non mi lasciai scappare.

Ero ancora un bravo ragazzo, giovane e non troppo sfacciato, per cui tenni un profilo bassissimo con lui, dato la scorza di burbero, e capivo che mi trovavo davanti ad un intellettuale non da poco, una testa pensante di quelle che se ne trovano poche.

Invece vidi che, sì, era burbero, ma non disdegnava assolutamente il contatto con noi giovani, anzi in un certo senso lo cercava. Infatti prima del concerto e della sua breve introduzione si fermò allungo a parlare con noi, formula giudizi sul mio stato presente della Chiesa, offriva delle chiavi di lettura intelligenti, di grande respiro, affascinanti e soprattutto chiarissimi. Non avrei mai smesso di ascoltarlo.

Ero uno studente universitario e sinceramente per me fu un punto importante lungo la mia strada cristiana: capì che non era da buttare quello che alcuni amici ed io avevamo in mente in quegli anni per la Chiesa; ci ritrovammo molto in quello che lui diceva, in un certo senso ci diede una spinta determinante. Negli anni il rapporto è continuato: era facile incontrarlo al Meeting sia perché teneva sempre in quegli anni delle conferenze, bellissime, partecipatissime e intelligentissime (ritornassero..!), ma anche perché lo trovavamo spesso seduto nello stand di Claudio Chieffo. Lì teneva una specie di social club, più da piazza del paese che da salotto, molto ma molto sui generis, in cui ci si dedicava a vari sport: dalle previsioni sulle sorti della Chiesa a prendere in giro i figli di Claudio (in questo era il numero uno), ci riferiva episodi ecclesiastici che facevano ridere, poi si tornava sui massimi sistemi. Ma questa cosa era riservata a chi gli era amico.

Ho un bel ricordo di quando ci incrociamo al pellegrinaggio Macerata - Loreto nel 1996: lui aveva appena saputo della elezione di monsignor Gervasio Gestori a vescovo della nostra diocesi, e ci tenne a dirmi, appena mi vide: “avete un buon vescovo!“ insistendo più volte. Estemporaneo e a volte senza filtri (grazie a Dio), non rimaneva freddo di fronte a nulla, tanto meno a ciò che percepiva come una buona novità, e voleva comunicarlo a tutti. Lo ringraziai per le referenze positive che si rivelarono veritiere. Mi diceva così perché sapeva della nostra giovane compagnia e aveva speranza che il nuovo vescovo potesse accompagnarci e continuare a farci crescere.

Meno di dieci anni dopo lo ritrovo Vescovo di San Marino - Pennabilli, ultima nomina prima della morte di San Giovanni Paolo II. Qualche settimana prima lo contattammo per venire alla nostra festa, e non era ancora vescovo né sapevamo potesse diventarlo. Incaricai Giulio Giustozzi di concordare con lui una data possibile. Giulio ci raccontò una divertentissima telefonata in cui lui, vittima sacrificale, dovette subire tutti i suoi strali sui tipi loschi (ovviamente affettuosi anche se molto pungenti). Sentendo che Giulio, notoriamente persona educatissima e grande incassatore, non replicava, chiese: “ma io dico tutte queste cose e tu non dici niente?“ con il suo accento lombardo simpaticissimo. Ci stiamo ancora ridendo da quel giorno…

Un annetto dopo partecipai al congresso internazionale dei nuovi movimenti ecclesiali a Rocca di Papa. lo incontrai anche lì ed ebbi modo di mangiare più volte insieme a lui e ad altri simpatici peones come me. A parte la piacevolezza della sua presenza, la sua simpatia e il fatto di stare con un bravo vescovo come lui, quelle conversazioni ci servirono moltissimo per comprendere meglio quello che stavamo vivendo in quei giorni e in quegli anni. La sua chiarezza di giudizio era pari a nessun’altra.

Un’altra volta accettò di tenere una conferenza a Ferrara (di cui nel frattempo era diventato arcivescovo), insieme al mio amico John Kanu, l’eroe della Sierra Leone, e il malcapitato sottoscritto. La cosa più buona che mi disse fu: “Hai trovato Chesterton e ti sei riciclato…”. Anche qui mi feci tante risate. Era comunque il suo modo, di sicuro poco ortodosso, di esprimere tenerezza e affetto. Lo faceva anche con i miei figli quando lo incontravano…

Forse il momento più bello è stato quando un paio di anni dopo ci accolse in casa sua, dell’episcopio di Ferrara, nella sala più bella; entrammo in punta di piedi in quest’aula bellissima, in stile settecentesco, e lui ci aspettava già seduto al tavolo. Mi presentai con tutta la nostra scolaresca, in gita da quelle parti, un giro indimenticabile. Lì per lì mi accolse, come sempre, burberamente. Avevo osato chiedergli: “Eccellenza, come stai?” con il mio solito entusiasmo fuori posto. Mi rispose con un tono leonino: “come vuoi che stia, con la situazione attuale della Chiesa?“. Poi mi accolse paterno come sempre e mi comunicò immediatamente la sua compiaciuta meraviglia di vedere tutti questi ragazzi, alcuni anche molto piccoli, pronti e attenti ad ascoltarlo. Bimbi, liceali, tutti buoni in silenzio, pronti. Ci fece un breve discorso, una specie di benvenuto ma anche un incoraggiamento fortissimo a continuare a fare quello che facevamo, anzi a fare di più. Ascoltò anche qualche domanda, cui rispose compiutamente e con l’umiltà del grande ti ascolta il piccolo e lo prende sul serio. Ripartimmo veramente risollevati, non sempre troviamo nel nostro ambiente qualcuno che non solo apprezza il nostro sforzo quotidiano ma ha a cuore che noi andiamo fino in fondo alla nostra missione.

Qualche anno dopo mi chiese di far parte di un organismo che si occupa di sostenere la famiglia, l’educazione e la cultura, e ne fui come ancora sono entusiasta. Questo ci diede modo di vederci più spesso e di parlare a tu per tu, di collaborare, di costruire.

In una di queste simpatiche occasioni andiamo a casa sua con gli altri che condividono con me questa responsabilità. Ad un certo punto mi chiese della famiglia, e mi disse di salutare mia moglie con queste parole: “dille che tra i due il più fortunato sei tu… ma dille anche che a lei poteva andare peggio…!”. Questo il complimento più grande che mi hai fatto in vita, lo raccontai alla mia cara moglie e ci ridemmo tantissimo…

La preoccupazione per le famiglie, per l’educazione dei giovani e per la cultura cristiana sono sempre stati i suoi tre fari per la sua attività di pastore, di docente universitario, di sacerdote e a suo tempo di giovane laico.

Ha anche partecipato alla nostra festa annuale, l’ultima volta nel 2018, una serata bellissima in cui si unirono a noi centinaia di amici venuti anche da fuori per ascoltarlo parlare del libro, da poco uscito, L’Opzione Benedetto.

Caro don Luigi, mio amico e mio vescovo, mi spiace tanto che ci hai salutati! Sono certo che continuerai a fare il tifo per noi e ad aiutarci dal Cielo. Sono certo che con la tua solita rude bontà disturberai il Nostro Re perché ci sostenga, ci guidi e ci illumini. Io, a nome dei tipi loschi, ti dico che ci conto! Noi pregheremo sempre per te!


Marco Sermarini


Notizie biografiche


Sua Eccellenza Reverendissima Mons. LUIGI NEGRI è nato a Milano il 26 novembre 1941. Nasce e cresce in una famiglia umile e semplice ma fortemente radicata nella fede e impegnata sul piano ecclesiale e sociale. Riceve la prima educazione cristiana nella parrocchia di Sant’Andrea in Milano partecipando alla vita ecclesiale diocesana.

Dal 1955 al 1960 frequenta il liceo classico Berchet di Milano, dove incontra l’amico e ispiratore, Mons. Luigi Giussani di cui, dopo esserne stato uno dei suoi primi allievi, diventa uno dei primi e più stretti collaboratori entrando a far parte del Movimento Ecclesiale Gioventù Studentesca, fondato dallo stesso Giussani (nucleo originario di quella che sarà poi Comunione e Liberazione).

Si laurea a pieni voti in Filosofia nel giugno 1965 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, discutendo una tesi sul problema della Fede e della Ragione in Tommaso Campanella. Nell’autunno 1967 entra nel Seminario Diocesano Ambrosiano di Venegono. Viene ordinato sacerdote il 28 giugno 1972 dal Cardinale Giovanni Colombo, arcivescovo di Milano. Nell’ottobre 1972, dopo l’ordinazione, consegue la licenza in Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Il 17 marzo 2005 è nominato vescovo della Diocesi di San Marino-Montefeltro quando, fino all’ordinazione episcopale, resta docente di Antropologia Filosofica, Storia della Filosofia Moderna e di Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Riceve la ordinazione episcopale il 7 maggio 2005 per la imposizione delle mani e la preghiera consacratoria del Cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano essendo co-consacranti l’allora Mons. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, e Mons. Paolo Romeo, allora Nunzio Apostolico per l’Italia e la Repubblica di San Marino poi Cardinale arcivescovo di Palermo.

Mons. Negri prende possesso canonico della Diocesi il 22 maggio 2005 nella Cattedrale di San Pio V a Pennabilli. Sceglie come motto del suo stemma le parole «Tu, fortitudo mea». Il 1° dicembre 2012 è promosso arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa. Prende possesso canonico dell’Arcidiocesi il 3 marzo 2013 dove svolgerà il suo ministero episcopale reggendola diocesi fino alla nomina del successore il 15 febbraio 2017. Fin dagli inizi del suo apostolato, spende energie ed entusiasmo per i giovani e la scuola. La sua opera educativa contribuisce alla nascita, negli anni Settanta, di una significativa presenza cristiana nelle scuole medie superiori in Italia. Sono gli anni della battaglia per promuovere la libertà di educazione e un’autentica libertà di insegnamento. In questo campo, senza mai far venir meno il rispetto per altre posizioni politico-culturali, conduce un lavoro non facile e controcorrente rispetto all’associazionismo tradizionale e alla mentalità corporativa dominante che vede la scuola solo come serbatoio di posti di lavoro. In questo quadro nascono i primi due grandi convegni nazionali di Comunione e Liberazione del 1975 e del 1976, con la partecipazione di migliaia di insegnanti e di figure autorevoli della cultura e della politica scolastica di quegli anni. Accanto al lavoro pastorale, rivolto soprattutto ai giovani, monsignor Negri si dedica con passione allo studio attento e alla diffusione del Magistero Pontificio, in particolare quello di San Giovanni Paolo II, su cui tiene centinaia di conferenze, incontri, seminari in Italia e all’estero (ad esempio in Brasile, Polonia, Germania). Negli anni 1980-1985, insieme con un gruppo di docenti universitari e personalità ecclesiali, fra le quali il Card. Giacomo Biffi, il Card. Giovanni Saldarini, il Card. Lucas Moreira Neves, il Card. Jozef Tomko, il Card. Giuseppe Sepe, mons. Enrico Manfredini e Mons. Giovanni Marra, crea un comitato promotore dei Convegni per il Magistero Pontificio, che organizza molteplici attività sui punti più rilevanti del Magistero di Papa Wojtyla. Anche allo studio e alla diffusione della Dottrina sociale della Chiesa Negri offre un apporto decisivo, collaborando alla costituzione di una scuola permanente di formazione e diffusione della Dottrina sociale della Chiesa, che negli anni 1986-1990 ha fatto nascere numerose scuole, a livello diocesano o parrocchiale, per lo studio e la diffusione della stessa. Proprio nella diocesi di San Marino-Montefeltro costituisce, il 18 luglio 2005, come primo atto significativo del suo episcopato, la Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero Sociale della Chiesa ancora in piena attività.

Tonici, romani…

giovedì 28 dicembre 2023

Questo visse San Paolo per amore di Nostro Signore Gesù Cristo.


A Judæis quinquies, quadragenas, una minus, accepi. Ter virgis cæsus sum, semel lapidatus sum : ter naufragium feci, nocte et die in profundo maris fui, in itineribus sæpe, periculis fluminum, periculis latronum, periculis ex genere, periculis ex gentibus, periculis in civitate, periculis in solitudine, periculis in mari, periculis in falsis fratribus: in labore et ærumna, in vigiliis multis, in fame et siti, in jejuniis multis, in frigore et nuditate, præter illa quæ extrinsecus sunt, instantia mea quotidiana, sollicitudo omnium ecclesiarum. 

Dai Giudei cinque volte ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte fui battuto colle verghe; una volta fui lapidato; tre volte naufragai; una notte e un giorno passai nell'abisso. In viaggi sono stato più volte, in pericoli di fiumi, in pericoli di pirati, in pericoli da parte della mia schiatta, in pericoli da parte dei Gentili; pericoli in città, e nel deserto, e sul mare; pericoli tra i falsi fratelli, in fatiche e pene, nelle veglie tante volte, nella fame e nella sete, nei frequenti digiuni, nel freddo e nella nudità. E oltre questi mali esteriori v'è il cruccio quotidiano che su me incombe, cioè la cura di tutte le Chiese.

2 Cor 11,24-28

I soliti, stavolta in un posto serio, l’abbazia delle Tre Fontane…

domenica 17 dicembre 2023

Ancora una volta propongo questa bellissima foto dei Magnifici Sette.


Da sinistra a destra: Chris Adams (Yul Brinner), Vin (Steve McQueen), Chico (Horst Buchholz), Lee (Robert Vaughn), Bernardo O'Reilly (Charles Bronson), Harry Luck (Brad Dexter), Britt (James Coburn), cioè I Magnifici Sette, The Magnificent Seven, i protagonisti di uno dei miei film preferiti.

Il film si ispira espressamente (è scritto nei titoli iniziali a chiare lettere) ad un altro capolavoro, I sette samurai di Akira Kurosawa, ambientato nel Giappone dei samurai, che racconta la storia di un villaggio di contadini che, attraverso alcuni suoi rappresentanti, assume dei Rōnin (samurai senza padrone) per difendersi dai continui saccheggi di un gruppo di briganti.

Come ho già detto in altri post su questo mio blog personale, è proprio una bella storia: c'è di mezzo il coraggio, c'è la solidarietà, c'è il sacrificio, c'è l'eroismo semplice, il tutto concentrato in sette uomini piuttosto originali come in realtà lo è ciascuno di noi, che diamo il meglio di noi quando le circostanze lo suggeriscono e ciascuno di noi risponde, a proprio modo.

Un film che risveglia il senso di giustizia e di affetto verso chiunque incarni un poveraccio che va difeso dalla violenza e dalla prevaricazione, dall'ideologia e dal vuoto totale. 

A casa mia piace sempre (e voi direte: e chi se ne...? e io rispondo: però sappiatelo, a casa ci sentiamo tutti un po' Magnifici Sette, meglio non scherzare, meglio non fare casino con noi... 😉).


Frammenti della mia filosofia - 47 - Senza lasciarsi abbattere dalla tristezza o ferire dal risentimento.


Insieme con la fame e la sete, con il freddo e la nudità, pativano tribolazioni e sofferenze di ogni sorta. Ma tutto sopportavano con imperturbabile pazienza, secondo l'ammonizione di Francesco, senza lasciarsi abbattere dalla tristezza o ferire dal risentimento, senza rivolgere male parole a chi li affliggeva. Al contrario, da perfetti uomini evangelici, messi nell'occasione di realizzare grandi guadagni spirituali, esultavano nel Signore ritenendo una felicità l'essere esposti a tali prove e durezze; e, fedeli alla parola del Vangelo, pregavano solleciti e ferventi per i loro persecutori.


Leggenda dei Tre Compagni, X, 40 (Fonti Francescane, 1444)

venerdì 15 dicembre 2023

Qualche idea per svegliare il dibattito sulla libertà di educazione.

 

Le scuole parentali: nucleo del vero cambiamento

Una mia risposta al saggio del prof. Paolo Terenzi sul tema "Libertà di educazione", scritto per il substack "Lisander", nato dalla collaborazione tra la rivista Tempi e l'Istituto Bruno Leoni.


https://lisandermag.substack.com/p/le-scuole-parentali-nucleo-del-vero


Un momento di vita della Scuola Libera
G. K. Chesterton, la premiazione del
Concorso Chesterton 2023.

giovedì 14 dicembre 2023

Quoniam qui converti fecerit peccatorem ab errore viæ suæ, salvabit animam ejus a morte.

Fratres mei, si quis ex vobis erraverit a veritate, et converterit quis eum: scire debet quoniam qui converti fecerit peccatorem ab errore viæ suæ, salvabit animam ejus a morte, et operiet multitudinem peccatorum.

Epistola Jacobi, 5

Fratelli miei, se qualcuno tra voi devia dalla verità e un altro lo riconduce [nel retto cammino], deve sapere che chi ritrae un peccatore dall'errore della sua via, salverà l'anima di lui dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati.

Lettera di San Giacomo, 5

domenica 19 novembre 2023

Tre gassose.

Eccola com'era...!


Estate, forse dell'anno 1970, massimo 1971. San Benedetto del Tronto, la mia bella città, in estate è splendida e sempre piena di sole. Giugno, luglio, agosto, ho solo ricordi di giornate inondate di sole e di luce che accende i colori, mare azzurro, sabbia calda, palettina e secchiello.

Il rituale era semplice: partivamo da casa a piedi, da via Carducci 29, e raggiungevamo la stazione ferroviaria, non troppo distante. Lì prendevamo il bus urbano, che mia madre ancora chiamava "il postale". Era verde, mi pare che la ditta che faceva il servizio si chiamasse Romanelli. Mi piaceva quell'ondeggiare appesi al palo, e il campanello che mamma suonava per ricordare all'autista la nostra fermata. Il bigliettaio con la borsa di cuoio nero, la camicia azzurra e il berretto, bello in carne, incastrato in quella specie di scranno da cui distribuiva pacifico i bigliettini. 

Andavamo allo stabilimento "Il Delfino", sottotitolato in sambenedettese "Lu Talafé". Avevamo l'ombrellone e la cabina, arrivavamo e mamma mi diceva: "Aspetta un po' prima di farti il bagno...". Mai capita la ragione di quest'attesa, ma comunque rendeva il bagno più - appunto - atteso. So che oggi è una cosa sconosciuta e incomprensibile ai più. Finalmente arrivava l'ora del bagno, tuffi, giochi con la sabbia, tuffi ancora, e poi si usciva, asciugamano, cambio del costumino, pizzetta bianca e gassosa.

La gassosa era ovviamente la gassosa Roncarolo, prodotta a San Benedetto del Tronto dalla ditta di colui che fu uno dei più rispettati presidenti della Sambenedettese Calcio. Ricordo le bottiglie trasparenti, le prime erano rigate all'esterno, con la scritta impressa sul vetro, poi più avanti divennero lisce. È facile dire che oggi mi sembra di risentirne il sapore. Con la cannuccia d'ordinanza (erano incartate e speravo sempre mi capitasse il colore preferito), era il momento più bello della mattina passata al mare, poco prima di andare a casa per il pranzo.

La gassosa la compravamo al mare, allo stabilimento, costava cinquanta lire credo. Si andava vicino alle cabine dove c'era un frigorifero a pozzetto di quelli alimentati da quelle colonne di ghiaccio che una volta si fabbricavano vicino al porto, quindi non azionati elettricamente. C'era un ombrellone o una specie di tettoia, e lì c'era lui, l'Unglesë.

Questo nome stava scritto in piccolo in un angolo del già citato cartello dello stabilimento: "Da l'Unglesë".

"Da L'Unglèsë" e "Lu Talafé" davano un senso di esotico a tutto, per me bambino. La persona citata merita poi un discorso a parte.

L'Unglesë doveva essere un marinaio in pensione. Per me era alto, non so quanto lo fosse veramente, e la sua figura torreggiava burbera sulla spiaggia. Pantaloncini corti di tipo militare beige scoloritissimi tanto da sembrare un reduce di El Alamein, canottiera di lana scura tutta l'estate (mamma la chiamava "la majë dë la salótë", la maglia della salute... mah), pelle raggrinzita del colore del cuoio, stempiato, la bocca perennemente piegata verso il basso in una smorfia non si capiva se scorbutica o sprezzante o semplicemente perché quella era la piega della sua bocca, e gli occhi coperti da due palpebre così spesse che non si intuiva mai se vegliasse o stesse dormendo. Ma non dormiva.

Girava con un motorino 50 con dei resti di colore rosso, tipo un Guzzino o qualcosa del genere, con una cassetta del pesce di color crema presa al mercato ittico del porto e munita dello stemma comunale rosso e blu, legata con una specie di "ragno", fisso, sempre, una specie di portapacchi artigianale molto diffuso dalle nostre parti.

E poi quel nome...

Non si capiva se era dovuto al fatto che biascicasse qualche parola di inglese, o se tra i mille mari navigati ne avesse visti anche dei colori dell'Union Jack o più semplicemente se parlasse in un modo talmente incomprensibile da sembrare appunto inglese. Io avrei giurato si trattasse della terza ipotesi.

Non ne ho mai saputo il vero nome.

Allora, dopo il bagnetto e tutto il resto andavi da lui con le cinquanta lire in mano, chiedevi una gassosa, lui la tirava fuori dal pozzetto con il ghiaccio a colonna e te la stappava seduta stante con uno stappabottiglie appeso ad uno spago da qualche parte, e poi ti ci schiaffava dentro la cannuccia, e tu pago di tanto piacere andavi via felice. Quasi sempre.

Noi bambini sambenedettesi sapevamo che dovevi limitarti a dirgli il numero delle gazzose che volevi, e lui ti accontentava, togliendoti di mano gli spicci che ti aveva dato mamma, brusco come tutto era brusco in lui. D'altronde si capiva che non era tipo da intavolare conversazioni. 

I problemi nascevano da richieste "originali" o da altri intoppi. 

Quella mattina fu segnata da un piccolissimo intoppo.

Eravamo in fila indiana davanti a lui. Davanti a me c'era una bambina dai capelli scuri, piccolina, partita fiduciosa. Io dietro con il mio soldino. 

La piccola si avvicina e chiede a L'Unglesë nel suo parlare: "... tre gaszòszeee..." (tre gazzose pronunciate con accento di qualsivoglia dialetto italiano di derivazione celtica: lombardo, veneto, "dell'Àlditalië", ossia dell'Alta Italia, eccetera...).

L'Unglesë: "Chë vu'?!?".

La povera bambina prova ad insistere con voce che si fa tremante: "Tre gaszòszeee!".

Io dietro di lei - forse ero più grande di lei, comunque non avevo più di sei anni, ne sono certo - sarei anche intervenuto, ma prudentemente tacqui.

L'Unglèsë insiste col medesimo tono, forse leggermente più perentorio: "Chë vuuuu'?!?".

La poveraccia gli fa, ormai in lacrime: "Tre gaszòseeee!!!".

Lui la riguarda con uno degli occhi normalmente semichiusi che si fa leggermente più aperto, lei a quel punto scappa a gambe levate piangendo verso la mamma. Io dietro: "Una gassosa!!!" con un tono da sergente di giornata, forte e chiaro, e con le cinquanta lire sciolte sulla manina. Gassosa schiaffata nell'altra mano con la cannuccia d'ordinanza e via, evaporo con nonchalance ma leggermente scosso anche io. Però un po' mi viene da ridere, poi.

Sono passati più di cinquanta anni ma ho ancora vivo davanti agli occhi l'episodio e ci rido, ci rido a crepapelle tutte le volte che lo rivedo scorrere nella mia mente immersa nel sole dell'infanzia. Il nostro eroe dei sette mari che era nato e cresciuto ruvido, e sempre ci rimase, né più e né meno di tanti nostri concittadini, per me rappresenta una specie di fumetto, di ritratto dei nostri marinai, abituati più a discutere col mare e col vento e a gridare potenti maledizioni a lu scijò. Razza in via d'estinzione, purtroppo. La bambina chissà dove sarà, forse ancora scappa, poverina. Io sono qui, contento di essere nato e cresciuto in questo porto di mare pieno di sole e di una certa sana ignoranza.

San Benedetto del Tronto
e la sua spiaggia in quegli anni


domenica 22 ottobre 2023

Festa del nostro Santo patrono, Cambanò, foto di rito e vrëdëttë.

Lo scorso 13 Ottobre è stata la festa del santo patrono della mia amata città, il martire San Benedetto, centurione romano decapitato a Cupra all'inizio del IV secolo perché cristiano; il suo corpo fu ritrovato da un contadino sulla riva del mare ai piedi della pieve che gli fu poi intitolata, e riconosciuto perché i suoi buoi vi si erano inginocchiati davanti.


Sono andato a fare una visita al Santo per onorarlo e chiedergli aiuto per la mia città e per me ed i miei amici che ci viviamo, perché torni ad essere tutta cristiana, e lì chi ho incontrato? Il mio amico zio Mario in ottima compagnia, cioè sua moglie Laura e le sue graziosissime figliole.

Certamente non ci siamo fatti mancare il gusto di salire in cima al Torrione del XII secolo detto Torre dei Gualtieri, più noto come Lu Cambanò (= il Campanone).

Come vedete non abbiamo mancato l'appuntamento con le foto inutili ma bellissime, che ci dimostrano come siamo nati in un paese, come disse un poeta (o una poetessa?) locale, "affatturatë", cioè di una bellezza che ti strega. Talmente affatturante che di foto"scèmëcënë fattë mëccò",  come si dice da noi., e abbiamo fatto anche il filmato mentre il campanone allo scoccare del quarto, ci ha rintronato a dovere.

Avvolti dalla luce calda di questo tramonto ottobrino abbiamo pure cantato una canzone in onore della nostra Samb, alcune suore ci hanno visto e sentito, e ridevano, e le abbiamo pure aiutate a farsi una foto, e un signore che ci ha visti divertiti ci ha detto che avevamo lo spirito giusto.

Gnënoccë e crescë!

Ci siamo divertiti come pazzi e alla fine non volevamo scendere.

Grazie di cuore, signor Padre Eterno, per averci dato tóttë stu billë vrëdëttë, come si dice da noi: santi, amici cari, torrioni, campanoni, rècchië rëndrënatë, tramonti, bambini, belle cose dall'alto e pë' lu paèsë nustrë!














 #SanBenedettodelTronto #Sammenedettecarebillemi 

sabato 14 ottobre 2023

Frammenti della mia filosofia - 46 - San Tommaso e la verità.




Sant'Agostino di Ippona, citato in San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiæ, I - I, q. 16, a. 1 arg. 1.

sabato 16 settembre 2023

Frammenti della mia filosofia - 45 - Quicumque ergo humiliaverit se sicut parvulus iste, hic est major in regno caelorum.

Et advocans Jesus parvulum, statuit eum in medio eorum, et dixit: Amen dico vobis, nisi conversi fueritis, et efficiamini sicut parvuli, non intrabitis in regnum caelorum. Quicumque ergo humiliaverit se sicut parvulus iste, hic est major in regno caelorum. Et qui susceperit unum parvulum talem in nomine meo, me suscipit.

Secundum Matthæum 18, 2 - 5.

Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me».

Secondo Matteo 18, 2 - 5.



Frammenti della mia filosofia - 44 - Chesterton, ciò che dobbiamo avere dentro è lo spirito del bambino e la voglia di cercare il regno altrove.

Il diavolo è in grado di citare le Scritture per i suoi scopi; e il testo delle Scritture che ora cita più comunemente è: "Il regno dei cieli è dentro di voi". Quel testo è stato il punto di appoggio e di sostegno di molti più farisei, presuntuosi e prepotenti spirituali di tutti i dogmi della creazione; è servito a identificare l'autocompiacimento con la pace che supera ogni comprensione.

E il testo da citare in risposta è quello che dichiara che nessuno può ricevere il regno se non è un piccolo bambino. Ciò che dobbiamo avere dentro è lo spirito del bambino; ma lo spirito del bambino non è del tutto preoccupato di ciò che c'è dentro. Il primo segno di possesso è l'interesse per l'esterno. La cosa più infantile di un bambino è la sua curiosità, il suo appetito e la sua capacità di stupirsi del mondo. Potremmo quasi dire che il vantaggio di avere il regno dentro di sé è quello di cercarlo altrove.

Gilbert Keith Chesterton, Quello che ho visto in America.

giovedì 14 settembre 2023

Un po' di miei scoppiatissimi amichetti...

 


Prendere un treno.

 

È una vignetta disegnata dal mio caro amico Gilbert Keith Chesterton. Il titolo è: "Catching a train", cioè "Prendere un treno".

Dal mio punto di vista è bellissima perché mi riconosco in entrambe le due figure ritratte, l'omone affannato ed in ritardo che sta tentando di prendere il treno (in ritardo lo sono da sempre: mia mamma mi disse che sono nato all'aurora del 16 Luglio 1965, dunque penso che avrei dovuto nascere almeno la sera prima, e che avrò di sicuro trovato un motivo di trastullo o meglio di apparente distrazione là dentro...), e il bimbo che sta.. "prendendo il treno", cioè lo prende e lo trascina perché così gli aggrada (e anche qui mi riconosco: non sono mai divenuto adulto e non voglio mai diventarci).


lunedì 4 settembre 2023

Nuvolette sibilline e lagàne...

Dalla Sella delle Ciaule, sul Monte Vettore,
guardando a sud, verso il Pizzo di Sevo.
Foto fatta da me, ma quello che più conta
lo fa il Padre Eterno, cioè il mio Re.

martedì 29 agosto 2023

Frammenti della mia filosofia - 43 - Libertà anche dall'innaturale obbedienza (è la terza volta che lo metto, sottolineo questo ulteriore aspetto...).

Questa è la prima libertà che rivendico: la libertà di restaurare. Reclamo il diritto a proporre come soluzione il vecchio sistema patriarcale di un clan delle Highlands scozzesi, se ciò servisse a eliminare il maggior numero di problemi. Di certo eliminerebbe alcuni mali, come l’innaturale obbedienza a estranei freddi e duri, semplici burocrati e poliziotti.


Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo

I clan scozzesi e il lignaggio in Scozia | VisitScotland
E guarda che ignoranza...

Così mi disse un amico, tanti anni fa...

 مارك قلب الأسد

sabato 19 agosto 2023

Uno dei miei pittori preferiti, Simone De Magistris, Museo di Arte Sacra di Ripatransone.

Madonna con Bambino e Santi Pietro Apostolo, Giovanni Battista, Rocco e Antonio da Padova.

1579.

Figlio di Giovanni Andrea, nacque a Caldarola (prov. di Macerata) nel 1538. Pittore e stuccatore, la sua attività si svolse per la maggior parte all'interno del territorio marchigiano, per una committenza costituita da piccole confraternite, Ordini monastici e Comunità locali.

Legato alla cultura manieristica, egli ne è uno dei più interessanti rappresentanti marchigiani. La sua pittura risente di suggestioni lottesche: dell'artista veneziano accoglie il senso della luce e del colore facendosene il mediatore fino alle soglie del Seicento.

A quindici anni fu presentato dallo zio, Durante Nobili, a Lorenzo Lotto (Libro delle spese ..., p. 173), ma rimase presso di lui solo otto giorni, probabilmente perché attratto dalle novità romane portate da P. Tibaldi presente nello stesso anno a Loreto. Il primo esordio è accanto al padre a Vestignano nei misteri che circondano la Natività (1553), quindi a Ripatransone nella Madonna e santi (1559) della chiesa di S. Michele. Nel decennio 1560-70 firmò insieme al fratello Giovan Francesco alcune opere in cui si mescolano un generico ecclettismo e l'ascendenza zuccaresca. Caratteri che si riscontrano nell'Assunzione della Pinacoteca civica di Camerino firmata nel 1562, nella Crocefissione (1565) per la chiesa del Gonfalone ad Esanatoglia, nell'Adorazione dei magi del 1566 e nella Lapidazione di sStefano del 1569, ambedue della chiesa di S. Francesco a Matelica, mentre negli affreschi della cappella della Passione, dipinti nello stesso anno nel chiostro della medesima chiesa, momenti di misticismo visionario preannunciano una revisione lottesca. Dal 1560 iniziò a firmare da solo e fino al 1580 si impegnò soprattutto nel recupero di esperienze diverse da Raffaello a Lotto, da Tibaldi e Daniele da Volterra agli Zuccari, dai primi manieristi toscani alle stampe nordiche. Nel 1570 firmò una Natività per la chiesa di S. Agostino a Fabriano, oggi nella Pinacoteca di quella città; nel 1574 per la chiesa di S. Rocco a Ripatransone firmò la Madonna e santi e nello stesso anno per la chiesa di S. Pietro in Castello ad Ascoli Piceno la Madonna con Bambino e santi;nel 1575 per la collegiata di S. Ginesio una Madonna del Rosario e nello stesso anno a Potenza Picena per la chiesa dei cappuccini una Madonna con Bambino e santi, e l'anno dopo, la Deposizione dalla Croce, con la quale consacrò la sua adesione al manierismo controriformato romano (F. Aliberti Gaudioso, in Mostra di opere d'arte restaurate [catal.], Urbino 1966, pp. 30 s.; Id., in Mostra... [cat.], ibid. 1967, pp. 31 s.).

Nel 1577 a Montefortino per la chiesa di S. Francesco firmò una Madonna del Rosario. Incaricato nel 1580 di dipingere gli archi trionfali ad Ascoli Piceno per le accoglienze al cardinal legato Sforza, nel 1580-82 eseguì la decorazione a stucco e ad affresco dell'abside del santuario di Macereto (Macerata); intanto nel 1581 per la chiesa di Aschio a Visso dipinse una Madonna del Rosario. Nel 1583 per la chiesa di S. Oreste a Casavecchia (Camerino) firmò un'altra Madonna del Rosario, e l'anno dopo per la chiesa di S. Giovanni Battista ad Appignano la Discesa dello Spirito Santo (Rossi, 1970, p. 152) e per la chiesa di S. Antonio e S. Caterina a Potenza Picena una Madonna con Bambino e santi. Negli anni seguenti la composizione si formalizzò, assumendo una rigidità iconica in cui vennero riassorbiti i precedenti sia romani sia lotteschi mentre si assiste al recupero di una certa astrazione di ascendenza neogotica. Così nella Madonna con BambinosAndrea e sGiacomo del battistero di Osimo firmata nel 1585, nella Madonna con Bambino e santi del Museo dell'Opera della basilica di S. Nicola a Tolentino e nella Madonna del Rosario (1588) della chiesa di S. Domenico ad Ascoli Piceno, oggi esposta nella Pinacoteca di quella città. In questo periodo si ipotizza un viaggio dei D. a Roma sotto la protezione del card. Evangelista Pallotta di Caldarola, suo mecenate, dal 1589 prefetto della Fabbrica di S. Pietro.

Al 1588 risalgono gli affreschi della chiesa dei Ss. Martino e Giorgio a Vestignano (Assunzione della VergineCrocefissione Cristo risorto e santi), e al 1590 c., per il card. Pallotta, la decorazione a stucchi e affreschi dell'abside della chiesa di S. Martino a Caldarola e la tela con il Transito di sMartino, che lo indicano quale epigono di quella fiammata mistica che aveva visto convergere a Roma il De Vecchi ed El Greco. Per il card. Pallotta più tardi eseguì la decorazione dei palazzo di Caldarola, oggi sede comunale, portata a termine con aiuti (probabilmente i figli Solerzio e Federico), di cui vanno sottolineati lo Stanzino del Paradiso e la scena con il Sogno di Costantino nella prima sala, nonché le due scene raffiguranti la Sosta di papa Clemente VIII a Caldarola durante il suo viaggio a Ferrara (1598); per il medesimo committente dipinse alcune sale del castello Pallotta, sempre a Caldarola.

Al 1590 risale l'Allegoriadei tre Regni per la chiesa di S. Maria della Rocca di Offida (oggi nel Municipio di quella città), firmata insieme al figlio Solerzio, così come la Natività della chiesa di S. Maria della Carità ad Ascoli Piceno, ora nella collezione Zeri a Mentana. A questo stesso periodo appartengono i pannelli d'organo della chiesa di Force (Ascoli Piceno), raffiguranti le Storie della Vergine, eil Ritrattodi poetessa dicollezione privata di Firenze. Nel 1592 firmò una Madonna del Rosario per la chiesa di S. Domenico ad Ascoli Piceno. Il recupero del mondo nordico caratterizza i dipinti degli ultimi anni: la Pietà del 1594 della Pinacoteca di San Ginesio (Macerata), l'Ultima Cena, firmata nel 1598, per la collegiata di San Ginesio e nella stessa chiesa la Crocefissione e l'Andata al Calvario (cfr. Rossi, 1970, pp. 147-151). Fra il 1598 ed il 1607 eseguì gli affreschi dell'abside della chiesa di S. Benedetto a Fabriano con le Storie della vita di sRomualdo. Intanto, nel 1606, ad Ascoli Piceno dipinse una pala d'altare contornata di stucchi, oggi dispersa, per la chiesa di S. Maria della Carità, chiesa dove lavorava ancora agli stucchi nel 1610 (Fabiani, 1959, pp. 251 s., 358). Nel 1607., per la chiesa di S. Francesco a Sarnano, firmò un'Ultima Cena, e l'anno seguente, insieme coi figlio Solerzio, la Madonna e santi oggi nella Galleria nazionale delle Marche di Urbino.

Si fa risalire al 1611 l'anno della morte del pittore, visto che il 6 genn. 1612 la pala con l'Assunta, che si era impegnato a dipingere nel 1610 per S. Maria della Carità ad Ascoli Piceno, venne commissionata al pittore Gianandrea Urbani di Urbino (Fabiani, 1959, pp. 251 s.).

Di suo figlio Solerzio non si conoscono le date di nascita e di morte. Firmò col padre nel 1590 l'Allegoria dei tre Regni del Municipio di Offida (Ascoli Piceno), nello stesso anno la Natività della collezione Zeri di Mentana, nel 1608 la Madonna e santi della Galleria nazionale delle Marche di Urbino; il 16 nov. 1611 firmò una quietanza anche a nome del fratello Federico per lavori fatti nella cappella del Crocefisso nella chiesa di S. Angelo di Ascoli (Fabiani, 1959, p. 357). Nel 1598 collaborò probabilmente alla decorazione delle stanze del palazzo Pallotta e del castello a Caldarola.

[dall'Enciclopedia Treccani, voce a cura di Rosanna Petrangolini Benedetti Panici, Dizionario Biografico degli Italiani, volume 38 (1990)].

https://www.treccani.it/enciclopedia/simone-de-magistris_res-488094b4-87ec-11dc-8e9d-0016357eee51_%28Dizionario-Biografico%29/

Oggi 18 Agosto 2023 sono tornato sul Monte Vettore.

Il panorama visibile a nord ovest
dalla cima del Monte Vettore (2.476 mt)

Panorama dalla Sella delle Ciaule.

Sentiero che discende dalla cima.

Dalla Sella delle Ciaule guardando verso nord
(a destra la cima del Vettore)




Dopo anni e anni sono tornato sul Monte Vettore. La prima volta c'ero stato quarantadue anni fa, poi altre volte, anche d'inverno con la neve.

Una bella scarpinata fino in vetta, con una sosta al Bivacco Zilioli e in cima per mangiare.

Siamo sui Monti Sibillini, la catena montuosa che si estende tra le province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata nelle Marche, e di Perugia in Umbria.

Siamo partiti alle 8.55 (lo so, non è da mattinieri seri, però ciao -- oggi era caldo ma rispetto a San Benedetto si stava benissimo) da Forca di Presta, giornata di sole pieno. La prima parte del cammino (diciamo da Forca di Presta fino a quota più o meno 1.850) ti fa venire in mente la domanda "ma chi me lo ha fatto fare?", poi fai la persona adulta e dici che in cima - come avevi pensato - tutto questo varrà la pena. In effetti l'attacco ha una discreta pendenza che a freddo ti fa andare in iperventilazione in trenta secondi, e così rimani fino a quella quota. Un po' è l'effetto dello scendere dalla macchina e di cominciare a camminare, così, a bomba. Le persone serie dicono che ci vuole preparazione atletica, che io non ho e si sente, però pian piano si arriva. 

Dopo questi primi trecento metri di dislivello le cose migliorano un po': infatti ci sono

Il sentiero che sale, visto dal Bivacco Zilioli.

Il sentiero che sale verso Cima del Lago
dalla Sella delle Ciaule.

Il panorama a nord ovest da circa 1.800 mt.

tratti meno ripidi che culminano a quota 2.050 circa dove c'è una specie di spiazzo da cui si può ammirare sia il panorama delle Piane di Castelluccio (che in realtà si scorge immediatamente dall'inizio della camminata: da lì si vede anche il sentiero che porta a Forca Canapine, le montagne verso Norcia e Spoleto... colpisce molto perché la rapidità della salita fa vedere subito quanto sia lontano il fondo ove giacciono le Piane; queste ultime sono sempre bellissime, soprattutto col verde e il massimo è con la fioritura di fine giugno - primi di luglio) che quello verso sud, e cioè verso i Monti della Laga (Monte Comunitore, Pizzo di Sevo e altro ancora, nonché i Monti Gemelli, oggi non ben visibili a causa di nuvole a spasso sopra la cima del Vettore). Quello è il Vettoretto, morbida cima che guarda a sud.

Da lì in poi il sentiero piega verso sinistra, cioè nord, e aggira il Vettoretto. In una recente targa hanno messo delle fotografie ben illustrate della faglia che si è creata tra quel punto e lo Scoglio dell'Aquila (versante ovest, quello che dà verso le Piane di Castelluccio) a causa del terremoto del 2016 verso quelle quote. Il positivo è che la targa non fa considerazioni catastrofistiche ed ansiogene e si limita a dire come e dove stanno le cose. Poi di lì a poco il sentiero torna bello ripido e si trasforma in uno stretto ghiaione per culminare al Bivacco Zilioli, di recente ricostruito ex novo (c'è una zona per l'emergenza aperta a tutti e un'altra che si può prenotare, chiusa debitamente e giustamente a chiave), che si trova sulla Sella delle Ciàule (nome un po' desueto ma dal suono bello e poetico per indicare una razza di corvi di piccole dimensioni che abbiamo pure visto al ritorno). Lì si stava molto bene, c'era il sole, tante belle cose da vedere e siamo tornati belli neri a casa. Erano le 10.55, dunque due ore da persone normali, i corridori li lasciamo fare, non mettiamo nemmeno la cianghetta. Siamo stati superati da tanti giovani, hikers armati fino ai denti, gente normale più allenata di noi (eppure venivamo da una settimana di camminate nell'area della Marmolada... vabbè, su, dai...). Bel panorama a sud e a nord; da lì si vedono la Cima del Lago, la Cima del Redentore e il Pizzo del Diavolo, Monte Torrone, Monte Argentella, le balze che conducono alle Roccette e da lì al Lago (o Laghi, vedete voi, fate tutto il possibile se vi riesce per non parlare di cambiamenti climatici, il lago ha sempre avuto alti e bassi da che campo, la prima volta lo vidi più o meno quarantadue anni fa...), e più in lontananza la Sibilla.

Il gruppo del Vettore visto dalla sua cima
(visibili Cima del Lago, Cima del Redentore,
Pizzo del Diavolo, Monte Torrone, Monte Argentella)

I Monti della Laga dal Vettoretto.

Il Bivacco Zilioli, in stile minimal,
funzionale e accogliente.

Dopo una sosta di circa un'ora, reidratati, rifocillati e "ribbeviti" riprendiamo il cammino e, dopo un breve tratto di falso piano, si ritrova una bella salita ripida e sassosa e dopo una quarantina di minuti si conquista la vetta, dove c'è il cippo geodetico (un po' un casino, ferri, la croce tenuta "in piedi" da alcuni sassi, potrebbe essere messa meglio l'area), a 2.476 metri. Mangiamo, osserviamo con stupore e compiaciuti: sporgendosi verso ovest si intravede il lembo del Lago di Pilato che giace sotto Cima del Lago. Peccato che una nuvolona gigantesca si pari tra noi e il mare. Per il resto il tempo è bello e possiamo dire che ne sia valsa la pena, di cuore.

Scendiamo alle 13.25 senza più fermarci, salvo una sosta di pochissimi minuti al Vettoretto, ed arriviamo alle 14.55. Ottimo lavoro, ripartiamo verso casa. Grazie, Gesù, di tutto quello che ci fai vedere e saggiare con grande stupore.