domenica 24 novembre 2024

Ritorno a Giacomino - Mettiamo La quiete dopo la tempesta per intero.




Tempo fa, un paio di mesi fa, presi per scusa un'immaginetta trovata su internet per parlare della poesia La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi:


Esprimevo con un certo trasporto il mio pensiero su questo bel canto leopardiano, che inizia strepitosamente e finisce male. Con la stessa riserva immutata ed immutabile la pubblico per intero, invitando a leggere quel mio commento dopo aver letto la poesia. Non l'avevo mai pubblicata per intero, e allora ritengo valida cosa farlo. Vorrei sempre che ognuno di noi con le unghie e con i denti tenesse alla visione da cui trae origine la prima parte della poesia, perché una tale fedeltà salverebbe tutto. Il Padre Eterno ama questa fedeltà e ne rimane toccato e ne fa seguire miracoli. Ma ci torno.

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Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.

O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E’ diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.

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