mercoledì 16 marzo 2022

Un raccontino sulla mia infanzia e sulla mia maturità.

A volte i ricordi fanno capolino nella nostra vita ma si trasformano in carne ed ossa all'improvviso, miracolosamente, e ti lasciano un sapore di gratitudine.

Nove anni fa di questi tempi mi recai con famiglia ed amici a Roma. Dovevamo fare un bel convegno su Chesterton, con le scuole Chesterton americana e italiana che si sarebbero incontrate per la prima volta. Insomma, una bella cosa. Organizziamo di andare a dormire in un istituto di suore lì a Roma. Mi dicono che c'è una suora che vive lì e che è la zia di una di noi, per cui ci facilita il compito.

Arriviamo, non ricordo che giorno fosse, mi pare un venerdì. Entriamo nell'istituto e vedo che non sono suore a me del tutto ignote. Ad attenderci nell'atrio c'è una specie di manichino (più che una statua) che raffigura le suore nel loro vecchio abito. Ah, le conosco, faccio a mia moglie! Sono le Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli e di Santa Luisa di Marillac, a San Benedetto meglio note come "lë monëchë cappëllótë", cioè le monache cappellute, per via di un bizzarro copricapo che io ricordo di aver visto da bambino piccolissimo nelle foto che le ritraeva.

Allora mi metto a raccontare a mia moglie e alle mie figlie più piccole che quelle erano proprio le suore che stavano all'Asilo Merlini quando io ero bambino, e che le frequentava la loro nonna, mia mamma, da ragazza, quando imparava a ricamare le belle tovaglie e altre stoffe che ancora girano in casa. La sua insegnante del laboratorio era Suor Maddalena, impressa indelebilmente nei miei ricordi per i racconti di mamma.

Veramente io all'asilo ci sono andato proprio poco, non più di qualche giorno: stavo bene a casa, con mamma, e non ci volli più andare. Le suore erano buonissime, ma la cosa non mi entusiasmava. C'erano delle aiutanti un po' burbere, ma non mi creavano problema, erano le classiche donne sambenedettesi. 

Pur essendoci andato poco, ne ho una memoria vivissima. Ricordo bene anche di tre amici che ho ritrovato al liceo, Roberto, Luca e Leonardo, con loro sono sempre rimasto in contatto affettuoso. Ricordo le suore, alcuni bambini in particolare, il luogo (qualche anno fa ci tornai con mia moglie per via di un nostro centro estivo, che flash!).

Va bene, dopo un po' io chiacchiero da solo, per cui taccio, ma queste cose mi rinfrescano il cuore, come tutta la mia infanzia piena di sole. Niente, prendiamo il largo e lascio le suore nel loro convento romano, facciamo tutto quel che dobbiamo fare e arriva la sera, buonanotte a tutti.

La mattina ci alziamo per la colazione. Mangiamo i biscottini, il latte e caffè. D'un tratto vedo aggirarsi nella sala da pranzo una suorina piccola piccola. Ha un che di familiare per me. La guardo bene senza farmi notare. Qualcosa si muove nei ricordi, come un filo che afferro e che cerco di non perdere per vedere dove è legato... Poi un fulmine: ma è lei! Faccio a mia moglie: "È lei!" e mia moglie: "È lei chi?". Le vado dietro, la seguo vicino ai bricchi del latte, prendo un po' di coraggio e le dico: "Scusi, sorella, ma lei è mai stata a San Benedetto del Tronto all'Asilo Merlini?". La suorina mi guarda e mi dice: "Sì, tanti anni fa, all'asilo..." E io: "Ma allora è lei! Lei insegnava ai bambini più piccoli!" e mi metto a raccontarle una storia un po' squinternata, io che invece di andare dietro a Suor Gabriella, la mia maestra (un viso bellissimo), mi incanto a sentire lei che parlava a un gruppo di bambini dell'altra classe fermi davanti ad una statua della Madonnina, la classe dei fiocchi... non mi ricordo più, ognuna delle tre classe aveva un fiocco di colore diverso sul grembiulino: azzurri, gialli e... non ricordo più!

Lei mi dice che sì, era stata maestra lì. La guardo bene in faccia e mi sembra di rivedere lei, la Madonnina e i miei occasionali compagnucci, tutti calamitati da lei... Oserei dire che è sempre uguale a quel giorno. Poi mi ricordo che quel giorno di botta mi svegliai dall'incanto perché arrivò una delle aiutanti che mi strattonò leggermente sulla spalla e mi disse: "Dua stivë tó? La maèstra ttónë sta jecchë!" e mi riportò dalla mia maestra. Questa è una delle prime conferme della mia perdurante tendenza a... stare spesso con la testa da un'altra parte, gli inglesi la chiamerebbero absent-mindedness; il mio amico Chesterton, che veniva ritenuto un po' assente, replicava che lui non era absent-minded, ma che era present-minded in qualcos'altro... ecco, mi associo.

La suorina, di cui ho anche dimenticato il nome, mi disse che Suor Gabriella c'era ancora, stava in un convento della Toscana se non ricordo male. Mi avrebbe fatto piacere rivederla. In ogni caso la ringraziai tantissimo e le dissi di salutarmela tanto, anche se era impossibile si ricordasse di me.

I ricordi fanno capolino e diventano suore, amici, momenti di ansia, di felicità, di incanto, e si trasformano in riconoscenza.




Nella foto sopra ci sono in realtà quattro scene diverse dell'asilo Merlini. In quella in basso a destra riconosco piazza Nardone e in mezzo a tutte quelle ragazze bianche come colombe non ci crederete ma c'è anche la mia mamma, che andava ad imparare a ricamare da Suor Maddalena (che, come si dice a San Benedetto, "mo' rëvè", essendo passata a miglior vita da un po').

Nella foto sotto il fantascientifico copricapo delle "monëchë cappëllótë".

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Aggiornamento del 14 Gennaio 2023:

Felice è colui che ama ancora ciò che amava all'asilo: non è stato spezzato in due dal tempo; non sono due uomini, ma uno solo, ed ha salvato non solo la sua anima ma la sua vita.

Gilbert Keith Chesterton, Illustrated London News, 26 Settembre 1908.

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