giovedì 20 marzo 2025

Doroteo di Gaza: l’essere al di sotto di tutti e il pregare sempre si oppongono alla superbia.

Una parola da Doroteo di Gaza sull'umiltà e su come la si ottiene: 

"(…) l'essere al di sotto di tutti (…) si oppone alla prima superbia (considerare un niente il fratello, ndr): giacché come può considerarsi superiore al proprio fratello o inorgoglirsi in qualche cosa o rimproverare o disprezzare qualcuno, colui che si considera al di sotto di tutti? Ugualmente, anche il pregare continuamente, è chiaro perché si oppone alla seconda superbia (insuperbirsi contro Dio e ascrivere a sé e non a Dio i propri successi, ndr). È evidente, infatti, che la persona umile e pia, conoscendo che nessuna cosa buona può riuscire dall'anima senza l'aiuto e la protezione di Dio, non cessa di pregare Dio ininterrottamente perché le faccia misericordia. E chi prega Dio continuamente, se è fatto degno di riuscire bene in qualche cosa, sa bene donde ne ha avuto la capacità e non può inorgoglirsi né ascriverlo alla propria abilità, ma ascrive a Dio ogni successo e a lui rende sempre grazie e sempre lo invoca, tremando di decadere da un tale aiuto, e che si manifesti la sua debolezza e la sua impotenza. E cosí grazie all'umiltà, prega, e grazie alla preghiera si umilia, e quanto piú riesce, sempre piú si umilia, e quanto più si umilia, più riceve aiuto e avanza per la sua umiltà".

Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, 38.



sabato 15 marzo 2025

Il mio primo giorno di scuola.



Importerà con ogni probabilità a pochi ma sono contento di raccontarlo. L'altra mattina sono ripassato, come mi accade di fare abbastanza spesso quando passeggio, davanti alla mia vecchia scuola elementare. Le ho scattato una foto e allora mi è venuta voglia di scrivere di questa circostanza.

Fu il primo ottobre 1971. Non ricordo sinceramente se quella mattina ci fosse il sole o meno, sembrerà strano ma l'ho dimenticato. È un po' come se il prima fosse assente e che di botta io mi sia ritrovato in braccio a mio padre nel cortile della mia scuola elementare ad ascoltare quale sarebbe stata la mia classe e il mio o la mia insegnante. È strano questo vuoto, anche perché ho ricordi di molto antecedenti al primo giorno di scuola, però è così. Di botto mi ritrovai catapultato verso la scuola senza tanto rendermene conto. Mi ricordo che giorni prima andammo a comprare la cartella, che portavo a spalla; oggi non si usano più: i bambini vanno a scuola come sherpa nepalesi con zainetti carichi di libri come fossero provviste e salmerie insostituibili, noi andavamo con il piccolo sussidiario (forse si chiamava Paese), l'ancor più sottile libro di lettura, due quaderni due, uno a righe e uno a quadretti, l'astuccio con cui feci cinque anni di scuola, dentro i pastelli, una matita, una gomma un temperino. Stop. Non mi pare che non abbiamo avuto storia, opportunità, cultura, scoperte, luce e fantasia.

Non facemmo nessuna foto, per lo meno non mi sembra di averla in casa. In famiglia c'era una moderata per non dire quasi nulla tendenza a solennizzare traguardi, feste, circostanze. Ricordo solo un po' di trasporto al momento in cui acquistammo il necessario.

Quella fu una falsa partenza: mio padre ed io ci recammo a scuola, forse in macchina, entrammo nel cortile dove ho un vago ricordo si trovassero tanti babbi, tante mamme e tanti bimbi, tutti nel loro grembiulino e col fiocco, rispettivamente nero e blu per i maschietti e bianco e rosa per le femminucce. Babbo mi prese in braccio per farmi vedere più lontano. Non so se sperava che io ascoltassi con lui il personaggio (forse era il direttore) che leggeva i nomi dei vari bambini classe per classe, maestro per maestro, sta di fatto che io mi resi conto di ben poco. Capimmo che avremmo dovuto tornare nel pomeriggio perché io sarei andato in una delle classi che avrebbero iniziato la scuola nel pomeriggio. Sì, perché noi facevamo doppi turni; eravamo talmente tanti che dovevamo usare la scuola tutto il giorno, tanti la mattina e tanti il pomeriggio, a mesi alterni. Infatti fino alla quarta elementare (quando ci spostarono in un altro plesso, vicinissimo a casa mia; oggi ospita la palestra di Fausto e Luigi Giorgini) per me la scuola ad ottobre fu sempre il pomeriggio, novembre la mattina e così via. Eravamo davvero centinaia e centinaia di bambini nella mia città, noi del 1965: l'anno 1964 fu quello in cui nacquero più bambini in Italia, il nostro quello immediatamente successivo anche in classifica. 

Dunque tornammo a casa per il falso allarme. Ricordo un minimo di stupore nel viso di mamma; passai la mattina un po' sospeso, toltomi il grembiulino da "remigino" (si diceva così ai bimbi che avrebbero frequentato la prima elementare), forse giocai, feci pranzo e tornai nel pomeriggio a scuola piuttosto trepidante. Erano le due e mezza circa. Mi ricordo la luce del pomeriggio e la classe che mi sembrava enorme, tutta tappezzata di quelli che scoprii erano i cartelli con le lettere ed un disegnino con qualcosa il cui nome cominciasse con quella lettera: la a di ape, la b di birillo, la i di imbuto, la z di zappa... C'era anche una presenza materna, quella della mia maestra che si chiamava Anna Traini, una signora sorridente ed affettuosa. Eravamo tutti maschietti, ed in mezzo a loro trovai un mio amichetto vicino di casa con cui i miei genitori mi avevano fatto familiarizzare poco tempo prima, Marino Palanca. Mi pare che ci misero di banco insieme, ne fui contento, fu una presenza rassicurante. Siamo rimasti sempre amici.

La scuola era ed è intitolata a Benedetto Caselli, un sambenedettese che perse la vita durante la I Guerra Mondiale. Qui ne trovate la storia. È strano ma oggi tutti chiamano quella scuola "le Moretti", perché sono in via Gino Moretti. Io però ricordo bene l'altro nome e la storia di quest'uomo.

Ci sarebbe altro da raccontare, per ora mi fermo qui.

domenica 2 marzo 2025

Frammenti della mia filosofia - 78 - Chesterton, infanzia, una sorta di luce bianca su tutto.

Devo cercare di spiegare in qualche modo che cosa intendo dire quando dico che la mia infanzia è stata di tipo, o qualità, del tutto diversa dal resto della mia esistenza, immeritatamente piacevole e gioiosa.

Di questa qualità positiva l'attributo più generale era la chiarezza. È qui che differisco, per esempio, da Stevenson, che pure ammiro vivamente, e che parla del bambino come se si muovesse con la testa tra le nuvole. Egli parla del bambino come se fosse normalmente in un sogno ad occhi aperti, in cui non riesce a distinguere la fantasia dai fatti. Ora, bambini e adulti sono entrambi fantasiosi a volte; ma non è questo che, nella mia mente e nella mia memoria, distingue gli adulti dai bambini. Il mio è un ricordo di una sorta di luce bianca su tutto, che ritagliava le cose in modo molto chiaro e ne sottolineava piuttosto la solidità. Il punto è che la luce bianca aveva una sorta di meraviglia, come se il mondo fosse nuovo come me; ma non che il mondo fosse altro che un mondo reale.

Gilbert Keith Chesterton, Autobiografia (mia traduzione)



Inno alla carità di San Paolo.



Il ritratto di Sa Paolo più antico noto ad oggi,
Catacombe di Santa Tecla, Roma.



Si linguis hominum loquar, et angelorum, caritatem autem non habeam, factus sum velut aes sonans, aut cymbalum tinniens. Et si habuero prophetiam, et noverim mysteria omnia, et omnem scientiam: et si habuero omnem fidem ita ut montes transferam, caritatem autem non habuero, nihil sum. Et si distribuero in cibos pauperum omnes facultates meas, et si tradidero corpus meum ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest. Caritas patiens est, benigna est. Caritas non aemulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum, non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati: omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet. Caritas numquam excidit: sive prophetiae evacuabuntur, sive linguae cessabunt, sive scientia destruetur. Ex parte enim cognoscimus, et ex parte prophetamus. Cum autem venerit quod perfectum est, evacuabitur quod ex parte est. Cum essem parvulus, loquebar ut parvulus, cogitabam ut parvulus. Quando autem factus sum vir, evacuavi quae erant parvuli. Videmus nunc per speculum in aenigmate: tunc autem facie ad faciem. Nunc cognosco ex parte: tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum. Nunc autem manent fides, spes, caritas, tria haec : major autem horum est caritas.


beatus Paulus Apostolus ad Corinthios (1 Cor 13, 1-13)


Se io parlassi le lingue degli uomini e degli àngeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cémbalo che tintinna. E se avessi la profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e se avessi tutta la fede così da spostare le montagne: se non ho la carità sono un niente. E se distribuissi in nutrimento per i poveri tutti i miei possessi e dessi il mio corpo per essere bruciato: se non ho la carità niente mi giova. La carità è paziente, è benigna. La carità non è astiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si adira, non pensa male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità: tutto soffre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non viene mai meno: mentre invece le profezie passeranno, le lingue cesseranno e la scienza sarà abolita. Adesso conosciamo imperfettamente e profetiamo imperfettamente. Quando verrà ciò che è perfetto, verrà rimosso ciò che è imperfetto. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, avevo gusti da bambino, pensavo da bambino. Divenuto uomo, ho smesso le cose che erano dei bambini. Adesso vediamo come in uno specchio, per enigma: ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto: allora conoscerò come sono conosciuto. Per ora restano queste tre cose: la fede, la speranza e la carità, ma la più grande è la carità.


If I speak with the tongues of men, and of angels, and have not charity, I am become as sounding brass, or a tinkling cymbal. And if I should have prophecy and should know all mysteries, and all knowledge, and if I should have all faith, so that I could remove mountains, and have not charity, I am nothing. And if I should distribute all my goods to feed the poor, and if I should deliver my body to be burned, and have not charity, it profiteth me nothing. Charity is patient, is kind: charity envieth not, dealeth not perversely; is not puffed up; Is not ambitious, seeketh not her own, is not provoked to anger, thinketh no evil; Rejoiceth not in iniquity, but rejoiceth with the truth; Beareth all things, believeth all things, hopeth all things, endureth all things. Charity never falleth away: whether prophecies shall be made void, or tongues shall cease, or knowledge shall be destroyed. For we know in part, and we prophesy in part. But when that which is perfect is come, that which is in part shall be done away. When I was a child, I spoke as a child, I understood as a child, I thought as a child. But, when I became a man, I put away the things of a child. We see now through a glass in a dark manner; but then face to face. Now I know in part; but then I shall know even as I am known. And now there remain faith, hope, and charity, these three: but the greatest of these is charity.


lunedì 17 febbraio 2025

Cosa diceva di sé John Ronald Reuel Tolkien.

Sono un Hobbit in tutto e per tutto, tranne che per le dimensioni. Mi piacciono i giardini, gli alberi e i terreni agricoli non meccanizzati; fumo la pipa e mi piace il buon cibo semplice (non refrigerato), ma detesto la cucina francese; mi piacciono, e oso persino indossare in questi giorni noiosi, i gilet ornamentali. Sono appassionato di funghi (di campo); ho un senso dell'umorismo molto semplice (che persino i miei critici apprezzabili trovano stancante); vado a letto tardi e mi alzo tardi (quando possibile). Non viaggio molto.

J. R. R. Tolkien Lettera a Deborah Webster, 25 ottobre 1958



sabato 15 febbraio 2025