Ieri, alla tenera età di quarantatrè anni, ho fatto il mio primo allenamento di rugby.
Avanzare, pressare, sostenere, continuare, la quattro grandi regole del rugby.
Bello!
venerdì 26 settembre 2008
domenica 14 settembre 2008
Notre Dame, la chiesa del rugby - LASTAMPA.it
Bellissima storia!
La chiesa cattolica dedicata a Nostra Signora del Rugby!
Bellissima anche la preghiera!
Grande il prete!
Ci devo assolutamente andare!
http://www.lastampa.it/sport/cmsSezioni/rugby/200708articoli/10344girata.asp
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La chiesa cattolica dedicata a Nostra Signora del Rugby!
Bellissima anche la preghiera!
Grande il prete!
Ci devo assolutamente andare!
http://www.lastampa.it/sport/cmsSezioni/rugby/200708articoli/10344girata.asp
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giovedì 11 settembre 2008
IRAQ - I cristiani si organizzano per difendersi.
Ecco i nuovi Cristeros. Sono in Iraq. Da AsiaNews.
In un villaggio vicino Niniveh il primo caso di milizia cristiana
Colpiti lo scorso anno con un camion bomba, fatti segno di attacchi, costretti a pagare gli uomini di Al Qaeda, gli abitanti di Tel Asquf hanno dato vita ad un servizio di sicurezza che sorveglia gli ingressi del loro paese.
Baghdad (AsiaNews) - Si chiama Tel Asquf ed è nel nord dell'Iraq, vicino Niniveh, il primo villaggio cristiano ad aver creato una propria forza di sicurezza. I suoi 8mila abitanti, stanchi di pagare la "jezya" (tassa di protezione) agli uomini di Al Qaeda si sono rivolti ai vicini curdi. Adesso i peshmerga hanno creato un cerchio di sorveglianza intorno al villaggio, gli ingressi del quale vedono la presenza di 200 cristiani armati.
Finora non hanno dovuto sparare un colpo, precisa il Middle East Ondine, che racconta la storia di questo villaggio, che l'anno scorso fu fatto segno di un camion bomba che provocò sette morti. Ed anche in seguito non sono mancati attacchi di miliziani, sia sunniti che sciiti.
"I terroristi - ha raccontato Abu Nataq, che guida il gruppo di sicurezza del villaggio - vogliono ucciderci perché siamo cristiani. Se non ci difendiamo da soli, chi lo fa?". "Abbiamo chiesto – aggiunge - l'aiuto del Kurdistan". I peshmerga hanno fornito fucili e radio e l'amministrazione di Arbil paga i 200 dollari al mese dello stipendio dei vigilanti. Gli armati cristiani sorvegliano i quattro ingressi del paese e pattugliano le strade, particolarmente quelle intorno alla chiesa caldea-cattolica di San Giorgio.
"A Mosul – racconta uno di loro – i miei bambini non potevano giocare in strada ed io non potevo mandare la mia figlia di 12 anni a scuola. Qui – aggiunge - viviamo praticamente uno sull'altro e tutto è costoso, perché i commercianti sanno che non possiamo andare a fare la spesa a Mosul". Ma ora è tra coloro che montano di guardia davanti alla chiesa.
In un villaggio vicino Niniveh il primo caso di milizia cristiana
Colpiti lo scorso anno con un camion bomba, fatti segno di attacchi, costretti a pagare gli uomini di Al Qaeda, gli abitanti di Tel Asquf hanno dato vita ad un servizio di sicurezza che sorveglia gli ingressi del loro paese.
Baghdad (AsiaNews) - Si chiama Tel Asquf ed è nel nord dell'Iraq, vicino Niniveh, il primo villaggio cristiano ad aver creato una propria forza di sicurezza. I suoi 8mila abitanti, stanchi di pagare la "jezya" (tassa di protezione) agli uomini di Al Qaeda si sono rivolti ai vicini curdi. Adesso i peshmerga hanno creato un cerchio di sorveglianza intorno al villaggio, gli ingressi del quale vedono la presenza di 200 cristiani armati.
Finora non hanno dovuto sparare un colpo, precisa il Middle East Ondine, che racconta la storia di questo villaggio, che l'anno scorso fu fatto segno di un camion bomba che provocò sette morti. Ed anche in seguito non sono mancati attacchi di miliziani, sia sunniti che sciiti.
"I terroristi - ha raccontato Abu Nataq, che guida il gruppo di sicurezza del villaggio - vogliono ucciderci perché siamo cristiani. Se non ci difendiamo da soli, chi lo fa?". "Abbiamo chiesto – aggiunge - l'aiuto del Kurdistan". I peshmerga hanno fornito fucili e radio e l'amministrazione di Arbil paga i 200 dollari al mese dello stipendio dei vigilanti. Gli armati cristiani sorvegliano i quattro ingressi del paese e pattugliano le strade, particolarmente quelle intorno alla chiesa caldea-cattolica di San Giorgio.
"A Mosul – racconta uno di loro – i miei bambini non potevano giocare in strada ed io non potevo mandare la mia figlia di 12 anni a scuola. Qui – aggiunge - viviamo praticamente uno sull'altro e tutto è costoso, perché i commercianti sanno che non possiamo andare a fare la spesa a Mosul". Ma ora è tra coloro che montano di guardia davanti alla chiesa.
domenica 7 settembre 2008
Un'interessante (quanto isolata) presa di posizione sul silenzio circa la sorte dei cristiani nel mondo.
Qui di seguito c'e un articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di oggi con una interessante riflessione sulla sorte dei cristiani nel mondo e le persecuzioni di questi ultimi mesi (in realtà in atto da anni ma nel disinteresse totale della cieca stampa italican dedita a veline e giocatori e al minimo flatus vocis dei politichetti di turno).
Ieri in India sono state aggredite quattro Missionarie della Carità, quelle di Santa Teresa di Calcutta, che in proporzione è molto molto peggio che sparare sulla Croce Rossa.
In Italia il tema principale è Fini che parla del voto agli immigrati per non si sa quale fine, Veltroni che ce l'ha con Parisi che ha lodato colpevolmente Silvio Berlusconi.
Il ridicolo sfocia nel tragico.
La CEI (i Vescovi Cattolici italiani) hanno indetto comunque nei prossimi giorni una giornata di solidarietà a favore dei cristiani perseguitati nel mondo. Ovviamente ne parlano in pochi.
Giornalisti, vergogna.
http://mobile.corriere.it/dettaglio.php?SID=a2006f5ef5a0e23298aaa9127ff4ec10&idc=1965130&ids=3&type=news
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Ieri in India sono state aggredite quattro Missionarie della Carità, quelle di Santa Teresa di Calcutta, che in proporzione è molto molto peggio che sparare sulla Croce Rossa.
In Italia il tema principale è Fini che parla del voto agli immigrati per non si sa quale fine, Veltroni che ce l'ha con Parisi che ha lodato colpevolmente Silvio Berlusconi.
Il ridicolo sfocia nel tragico.
La CEI (i Vescovi Cattolici italiani) hanno indetto comunque nei prossimi giorni una giornata di solidarietà a favore dei cristiani perseguitati nel mondo. Ovviamente ne parlano in pochi.
Giornalisti, vergogna.
http://mobile.corriere.it/dettaglio.php?SID=a2006f5ef5a0e23298aaa9127ff4ec10&idc=1965130&ids=3&type=news
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venerdì 5 settembre 2008
Ricordiamoci del Re.
Ricordiamoci, amici, che l'Unico Re Legittimo, Gesù Cristo, è sbarcato e che ci ha chiesto di partecipare alla Sua grande campagna di sabotaggio, e che la domenica dobbiamo andare a messa ad ascoltare la Sua radio clandestina.
Ricordiamocelo tutti i giorni!
Ricordiamocelo tutti i giorni!
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mercoledì 3 settembre 2008
India - La viva voce di una delle vittime dei pogrom, padre Thomas (nella foto)
Vi preghiamo di diffondere il più possibile e nel più ampio raggio possibile (=anche all'estero!) queste notizie. Grazie.
Questo articolo di AsiaNews, che ringraziamo, è la viva voce del protagonista, padre Thomas Chellan.
di Thomas Chellan
È stato fra i primi ad essere colpito dalla furia dei radicali indù nei giorni scorsi. Per la prima volta parla del suo calvario. Catturato, picchiato, ferito, denudato, ha rischiato di essere arso vivo. Solo dopo due giorni la polizia lo ha liberato. Il suo racconto è stato raccolto da Nirmala Carvalho, corrispondente di AsiaNews a Mumbai.
Mumbai (AsiaNews) - Padre Thomas Chellan, 57 anni, è una delle prime vittime del pogrom contro i cristiani lanciato dal Vishva Hindu Parishad dopo l’assassinio di Swami Laxamananda Saraswati, il 23 agosto scorso. Picchiato, malmenato, ferito, denudato egli è stato soccorso dalla polizia solo alla fine della sua Via crucis. Con lui, anche una suora ha subito le stesse violenze, forse anche più brutali. Il loro Centro pastorale a Kandhamal è stato fra le prime costruzioni cristiane ad essere distrutte e bruciate. P. Thomas, ora ricoverato in ospedale ha accettato per la prima volta di raccontare quanto gli è successo. Mentre si fa forza a parlare, annaspa nel definire “selvaggia” la furia che lo ha colpito. “Selvaggia è troppo poco” dice. “Il modo con cui ci hanno picchiato con bastoni, piedi di porco, asce, lance, mostra che non ci consideravano neppure degli esseri umani… Erano come dei sicari, pagati da qualcuno per torturarci e picchiarci”. P. Thomas ha ora un’unica preoccupazione: quella per le migliaia (forse 50 mila) di fuggitivi nascosti nella foresta. “A tutt’oggi non c’è nemmeno un prete o una suora a Kadhamal. Tutti sono fuggiti, mentre dilagano le razzie e la caccia all’uomo. Nella mia agonia prego per i cristiani nella foresta. Nemmeno quello è un rifugio sicuro”. E aggiunge: "Se il mio vescovo mi manda, sono pronto a ritornare in Orissa. Insieme alle mie ferite, Cristo sta guarendo anche i miei sentimenti: non ho odio o amarezza. Sono pronto a servire anche coloro che mi hanno colpito… Sono felice di essere parte della ricca storia di persecuzione della Chiesa cattolica qui in India”. (NC). Da sette anni sono il direttore del Centro pastorale Divyajyoti [della diocesi di Cuttack- Bhubaneshwar]. La polizia (Orissa state armed police, Osap) era accampata davanti al nostro Centro da oltre un mese, da quando, a causa dell’uccisione di una mucca, vi sono stati alcuni incidenti a Tumbudhibandth. Quando, guardando la televisione, ho saputo della crudele uccisione di Swami Laxamananda Saraswati, ho contattato subito l’Osap chiedendo la loro protezione. Mi hanno risposto: “Nessuna preoccupazione, noi siamo qui”. Allora mi sono calmato. Il 24 agosto, verso le 4.30 del pomeriggio, una folla enorme è giunta al nostro cancello gridando slogan. Temendo per la nostra vita, io, un altro mio confratello prete e una suora abbiamo cominciato a scappare oltre il recinto del centro, dal retro dell’edificio. Sentivamo urla, rumori di porte e finestre infrante, ecc. Poi, dopo pochissimo tempo, abbiamo visto le fiamme e il fumo. Non sentendoci al sicuro, siamo fuggiti oltre, nella foresta e siamo rimasti là alcune ore, fino alle 8 di sera. Abbiamo raggiunto la casa di Prahlad Pradhan del villaggio di K. Nuagaon e lui è stato così buono da ospitarci e darci da mangiare. Il 25 agosto, verso le 9 di mattina, dall’interno della mia stanza ho potuto vedere ancora una folla distruggere una piccola chiesetta. Intuendo il pericolo, Prahlad mi ha nascosto in una stanza fuori dell’edificio principale e ha chiuso la serratura dall’esterno. Alle 13.30 un gruppo di 40-50 persone è arrivato e ha rotto la porta tirandomi fuori. In mezzo al gruppo vi era la suora, catturata prima di me. Hanno cominciato a picchiarmi da tutte le parti e mi hanno strappato a forza la camicia e il banyan [una giacca da camera – ndr]. Domandavano: “Perché avete ucciso lo Swamiji? Quanti soldi avete dato agli uccisori? Perché fate sempre così tante riunioni e incontri nel centro pastorale?”. Poi, spingendoci e tirando da tutte le parti ci hanno condotto fino al Janavikas building, dall’altro lato della strada. In mano avevano lathi [bastoni con punta di ferro, usati nelle arti marziali – ndr] asce, lance, piedi di porco, bastoni di ferro, falci, …Hanno continuato a picchiarci anche dentro l’edificio. Poi hanno strappato la camicia alla suora e l’hanno assalita. Ho detto qualcosa per fermarli, e con una mazza di ferro mi hanno colpito alla spalla destra. Poi mi hanno versato addosso del kerosene, mi hanno portato fuori e hanno preso dei fiammiferi per bruciarci. Uno ha suggerito di portarmi in strada e bruciarmi là. Mi hanno trascinato in strada mi hanno messo in ginocchio per 10 minuti, mentre portavano all’esterno anche la suora. Qualcuno intanto cercava una corda per legarci insieme e arderci vivi. Quindi hanno deciso di esporci mezzi nudi a Nuagaon, a mezzo chilometro da dove eravamo. Ci hanno legato le mani e ci hanno trascinato. Hanno anche cercato di strapparci via i resti dei nostri indumenti, ma abbiamo resistito. Mentre camminavamo piovevano colpi all’impazzata sui nostri corpi. Qualcuno nella folla gridava offese in Malayalam. Alle 14.30 abbiamo raggiunto Nuagaon, dove vi erano una dozzina di poliziotti dell’Osap, in piedi ai lati della strada. Domando a uno di loro: “Signore, la prego, ci aiuti!”. Ma per questa domanda uno della folla mi ha colpito. La polizia stava solo a guardare; nessun poliziotto nella sede di Nuagaon. La folla ci ha costretto a sederci sul bordo della strada e uno mi ha colpito in faccia. Intanto, uno che conoscevo bene – un venditore di Nuagaon – stava raccogliendo pneumatici usati perché volevano usarli per bruciarci. A un certo punto la folla ci ha detto di andare a K. Nuagaon, insieme a uno degli ufficiali, che ci ha accompagnato alla sede della polizia. Lì mi hanno messo qualche punto alle ferite, fasce e unguenti. Alle 9 di sera, l’ispettore di Balliguda, con un gruppo di poliziotti, ci ha portato a Balliguda. Uno della folla che ci aveva attaccato è rimasto a guardare tutti i nostri movimenti fino al nostro partire per Balliguda. Lì la polizia ci ha dato ospitalità e tutti ci hanno aiutato molto. Il 26 agosto alle 9 di mattina, ci hanno ancora portato alla stazione di polizia di Balliguda, dove l’ispettore capo ci ha chiesto se eravamo interessati ad esporre denuncia. Al nostro sì, ci ha detto di farlo subito, perché stava preparando il nostro trasferimento a Bhubaneshwar (280 km da Nuagaon). Abbiamo depositato 3 denunce: una per l’attacco contro il Centro pastorale; una per l’attacco contro di me; una per l’attacco contro la suora. Alle 16 siamo stati messi su un autobus molto confortevole, insieme ad alcuni altri passeggeri e ci hanno portato a Bhubaneshwar. Siamo scesi pochi km dopo Nayagarh, un po’ dopo la mezzanotte, il 27 agosto. Alcuni miei amici mi aspettavano per accogliermi e caricarmi nella loro auto. Alle 2 di notte siamo arrivati in uno dei nostri centri di Bhubaneshwar.
Questo articolo di AsiaNews, che ringraziamo, è la viva voce del protagonista, padre Thomas Chellan.
di Thomas Chellan
È stato fra i primi ad essere colpito dalla furia dei radicali indù nei giorni scorsi. Per la prima volta parla del suo calvario. Catturato, picchiato, ferito, denudato, ha rischiato di essere arso vivo. Solo dopo due giorni la polizia lo ha liberato. Il suo racconto è stato raccolto da Nirmala Carvalho, corrispondente di AsiaNews a Mumbai.
Mumbai (AsiaNews) - Padre Thomas Chellan, 57 anni, è una delle prime vittime del pogrom contro i cristiani lanciato dal Vishva Hindu Parishad dopo l’assassinio di Swami Laxamananda Saraswati, il 23 agosto scorso. Picchiato, malmenato, ferito, denudato egli è stato soccorso dalla polizia solo alla fine della sua Via crucis. Con lui, anche una suora ha subito le stesse violenze, forse anche più brutali. Il loro Centro pastorale a Kandhamal è stato fra le prime costruzioni cristiane ad essere distrutte e bruciate. P. Thomas, ora ricoverato in ospedale ha accettato per la prima volta di raccontare quanto gli è successo. Mentre si fa forza a parlare, annaspa nel definire “selvaggia” la furia che lo ha colpito. “Selvaggia è troppo poco” dice. “Il modo con cui ci hanno picchiato con bastoni, piedi di porco, asce, lance, mostra che non ci consideravano neppure degli esseri umani… Erano come dei sicari, pagati da qualcuno per torturarci e picchiarci”. P. Thomas ha ora un’unica preoccupazione: quella per le migliaia (forse 50 mila) di fuggitivi nascosti nella foresta. “A tutt’oggi non c’è nemmeno un prete o una suora a Kadhamal. Tutti sono fuggiti, mentre dilagano le razzie e la caccia all’uomo. Nella mia agonia prego per i cristiani nella foresta. Nemmeno quello è un rifugio sicuro”. E aggiunge: "Se il mio vescovo mi manda, sono pronto a ritornare in Orissa. Insieme alle mie ferite, Cristo sta guarendo anche i miei sentimenti: non ho odio o amarezza. Sono pronto a servire anche coloro che mi hanno colpito… Sono felice di essere parte della ricca storia di persecuzione della Chiesa cattolica qui in India”. (NC). Da sette anni sono il direttore del Centro pastorale Divyajyoti [della diocesi di Cuttack- Bhubaneshwar]. La polizia (Orissa state armed police, Osap) era accampata davanti al nostro Centro da oltre un mese, da quando, a causa dell’uccisione di una mucca, vi sono stati alcuni incidenti a Tumbudhibandth. Quando, guardando la televisione, ho saputo della crudele uccisione di Swami Laxamananda Saraswati, ho contattato subito l’Osap chiedendo la loro protezione. Mi hanno risposto: “Nessuna preoccupazione, noi siamo qui”. Allora mi sono calmato. Il 24 agosto, verso le 4.30 del pomeriggio, una folla enorme è giunta al nostro cancello gridando slogan. Temendo per la nostra vita, io, un altro mio confratello prete e una suora abbiamo cominciato a scappare oltre il recinto del centro, dal retro dell’edificio. Sentivamo urla, rumori di porte e finestre infrante, ecc. Poi, dopo pochissimo tempo, abbiamo visto le fiamme e il fumo. Non sentendoci al sicuro, siamo fuggiti oltre, nella foresta e siamo rimasti là alcune ore, fino alle 8 di sera. Abbiamo raggiunto la casa di Prahlad Pradhan del villaggio di K. Nuagaon e lui è stato così buono da ospitarci e darci da mangiare. Il 25 agosto, verso le 9 di mattina, dall’interno della mia stanza ho potuto vedere ancora una folla distruggere una piccola chiesetta. Intuendo il pericolo, Prahlad mi ha nascosto in una stanza fuori dell’edificio principale e ha chiuso la serratura dall’esterno. Alle 13.30 un gruppo di 40-50 persone è arrivato e ha rotto la porta tirandomi fuori. In mezzo al gruppo vi era la suora, catturata prima di me. Hanno cominciato a picchiarmi da tutte le parti e mi hanno strappato a forza la camicia e il banyan [una giacca da camera – ndr]. Domandavano: “Perché avete ucciso lo Swamiji? Quanti soldi avete dato agli uccisori? Perché fate sempre così tante riunioni e incontri nel centro pastorale?”. Poi, spingendoci e tirando da tutte le parti ci hanno condotto fino al Janavikas building, dall’altro lato della strada. In mano avevano lathi [bastoni con punta di ferro, usati nelle arti marziali – ndr] asce, lance, piedi di porco, bastoni di ferro, falci, …Hanno continuato a picchiarci anche dentro l’edificio. Poi hanno strappato la camicia alla suora e l’hanno assalita. Ho detto qualcosa per fermarli, e con una mazza di ferro mi hanno colpito alla spalla destra. Poi mi hanno versato addosso del kerosene, mi hanno portato fuori e hanno preso dei fiammiferi per bruciarci. Uno ha suggerito di portarmi in strada e bruciarmi là. Mi hanno trascinato in strada mi hanno messo in ginocchio per 10 minuti, mentre portavano all’esterno anche la suora. Qualcuno intanto cercava una corda per legarci insieme e arderci vivi. Quindi hanno deciso di esporci mezzi nudi a Nuagaon, a mezzo chilometro da dove eravamo. Ci hanno legato le mani e ci hanno trascinato. Hanno anche cercato di strapparci via i resti dei nostri indumenti, ma abbiamo resistito. Mentre camminavamo piovevano colpi all’impazzata sui nostri corpi. Qualcuno nella folla gridava offese in Malayalam. Alle 14.30 abbiamo raggiunto Nuagaon, dove vi erano una dozzina di poliziotti dell’Osap, in piedi ai lati della strada. Domando a uno di loro: “Signore, la prego, ci aiuti!”. Ma per questa domanda uno della folla mi ha colpito. La polizia stava solo a guardare; nessun poliziotto nella sede di Nuagaon. La folla ci ha costretto a sederci sul bordo della strada e uno mi ha colpito in faccia. Intanto, uno che conoscevo bene – un venditore di Nuagaon – stava raccogliendo pneumatici usati perché volevano usarli per bruciarci. A un certo punto la folla ci ha detto di andare a K. Nuagaon, insieme a uno degli ufficiali, che ci ha accompagnato alla sede della polizia. Lì mi hanno messo qualche punto alle ferite, fasce e unguenti. Alle 9 di sera, l’ispettore di Balliguda, con un gruppo di poliziotti, ci ha portato a Balliguda. Uno della folla che ci aveva attaccato è rimasto a guardare tutti i nostri movimenti fino al nostro partire per Balliguda. Lì la polizia ci ha dato ospitalità e tutti ci hanno aiutato molto. Il 26 agosto alle 9 di mattina, ci hanno ancora portato alla stazione di polizia di Balliguda, dove l’ispettore capo ci ha chiesto se eravamo interessati ad esporre denuncia. Al nostro sì, ci ha detto di farlo subito, perché stava preparando il nostro trasferimento a Bhubaneshwar (280 km da Nuagaon). Abbiamo depositato 3 denunce: una per l’attacco contro il Centro pastorale; una per l’attacco contro di me; una per l’attacco contro la suora. Alle 16 siamo stati messi su un autobus molto confortevole, insieme ad alcuni altri passeggeri e ci hanno portato a Bhubaneshwar. Siamo scesi pochi km dopo Nayagarh, un po’ dopo la mezzanotte, il 27 agosto. Alcuni miei amici mi aspettavano per accogliermi e caricarmi nella loro auto. Alle 2 di notte siamo arrivati in uno dei nostri centri di Bhubaneshwar.
Nuove violenze a Mosul, rapiti e uccisi due cristiani.
Si conclude in maniera tragico il sequestro di due cristiani, per la cui libertà una delle famiglie aveva già pagato un riscatto di 20mila dollari. La comunità di Mosul auspica che i musulmani condannino “con fermezza” gli omicidi.
Mosul (AsiaNews) – La comunità cristiana irachena di nuovo nel mirino dei fondamentalisti islamici a Mosul: è di oggi la notizia della morte di un medico 65enne, Tariq Qattan, rapito nei giorni scorsi da una banda di terroristi e per la cui libertà, rivelano fonti di AsiaNews, la famiglia aveva già pagato un riscatto di 20mila dollari Usa. La somma di denaro non è però bastata per restituire la libertà a Tariq Qattan, uno dei tanti cristiani rapiti dai fondamentalisti per estorcere denaro.
Sempre a Mosul due giorni fa – ma la notizia è circolata solo oggi – è stato rapito e ucciso un altro cristiano, Nafi Haddad, per il quale non si sa ancora se sia stato pagato o meno un riscatto. A dispetto dei piccoli segnali di miglioramento che sembravano arrivare dall’Iraq, la comunità cristiana deve registrare altre violenze; Mosul è da tempo teatro di una vera e propria carneficina, che ha costretto oltre i due terzi dei fedeli a fuggire altrove in cerca di salvezza.
Grande il tributo di sangue versato dalla diocesi in questi ultimi anni, a partire dal tragico rapimento di mons. Paulo Farj Rahho, il cui corpo è stato rinvenuto privo di vita il 13 marzo scorso in un terreno abbandonato poco fuori la città. Durante l’agguato che ha preceduto il sequestro del presule sono morti i tre uomini che erano con lui e fungevano da scorta, massacrati dai terroristi.
Nel 2007 i morti registrati nella comunità cristiana irachena sono stati 47, di cui almeno 13 solo a Mosul: fra di loro ricordiamo p. Ragheed Gani trucidato il 3 giugno, e altri due preti.
Tra il 6 e il 17 gennaio di quest’anno, inoltre, si sono succeduti una serie di attacchi contro beni e proprietà cristiani, quando un’ondata di attacchi bomba ha colpito: la chiesa caldea della Vergine Immacolata, quella caldea di San Paolo, quasi distrutta, l’entrata dell’orfanotrofio gestito dalle suore caldee ad al Nour, una chiesa nestoriana e il convento delle suore domenicane di Mosul Jadida.
La fonte di AsiaNews a Mosul auspica che gli ultimi due omicidi vengano “condannati con forza” dalla comunità musulmana, che ha appena celebrato l’inizio del mese sacro del Ramadan. Barbarie compiute “in nome della religione” e che violano i precetti del Corano. “Per secoli la comunità cristiana ha contribuito in maniera fondamentale allo sviluppo dell’Iraq. È dovere dei musulmani rispettarla e proteggerla perché crediamo tutti in un unico Dio, come è scritto nel Libro Sacro”.
Sempre a Mosul due giorni fa – ma la notizia è circolata solo oggi – è stato rapito e ucciso un altro cristiano, Nafi Haddad, per il quale non si sa ancora se sia stato pagato o meno un riscatto. A dispetto dei piccoli segnali di miglioramento che sembravano arrivare dall’Iraq, la comunità cristiana deve registrare altre violenze; Mosul è da tempo teatro di una vera e propria carneficina, che ha costretto oltre i due terzi dei fedeli a fuggire altrove in cerca di salvezza.
Grande il tributo di sangue versato dalla diocesi in questi ultimi anni, a partire dal tragico rapimento di mons. Paulo Farj Rahho, il cui corpo è stato rinvenuto privo di vita il 13 marzo scorso in un terreno abbandonato poco fuori la città. Durante l’agguato che ha preceduto il sequestro del presule sono morti i tre uomini che erano con lui e fungevano da scorta, massacrati dai terroristi.
Nel 2007 i morti registrati nella comunità cristiana irachena sono stati 47, di cui almeno 13 solo a Mosul: fra di loro ricordiamo p. Ragheed Gani trucidato il 3 giugno, e altri due preti.
Tra il 6 e il 17 gennaio di quest’anno, inoltre, si sono succeduti una serie di attacchi contro beni e proprietà cristiani, quando un’ondata di attacchi bomba ha colpito: la chiesa caldea della Vergine Immacolata, quella caldea di San Paolo, quasi distrutta, l’entrata dell’orfanotrofio gestito dalle suore caldee ad al Nour, una chiesa nestoriana e il convento delle suore domenicane di Mosul Jadida.
La fonte di AsiaNews a Mosul auspica che gli ultimi due omicidi vengano “condannati con forza” dalla comunità musulmana, che ha appena celebrato l’inizio del mese sacro del Ramadan. Barbarie compiute “in nome della religione” e che violano i precetti del Corano. “Per secoli la comunità cristiana ha contribuito in maniera fondamentale allo sviluppo dell’Iraq. È dovere dei musulmani rispettarla e proteggerla perché crediamo tutti in un unico Dio, come è scritto nel Libro Sacro”.
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