Luglio. Anno 2018? Forse. Minnesota, Minneapolis. Uno dei miei soliti (allora) tour del tipo: partenza il mercoledì dall'Italia, anche con scalo in Olanda, arrivo in USA che è mercoledì ma per me è mercoledì da ventidue ore, mentre per loro solo da quindici, quindi loro freschi come petali di rosa, noi sfatti come l'insalata che è stata troppo tempo in frigo; giovedì (spesso con esordio ad ore antelucane per via di giri da fare, quindi con tutto il ritmo sballato dal jet lag), venerdì, sabato e domenica a girare come le trottole, domenica sera o lunedì partenza per tornare a casa, scalo in Olanda, arrivo a Bologna, saluto del mio amico Enrico Tiozzo Bon, ritorno a casa strasfatto. Qualcuno mi dice che negli ultimi anni ho fatto un calo. Certo, rispondo ripensando a queste robe fatte sei volte negli ultimi anni. Perché sono tutti bravi ad andare in America e starci quindici - venti giorni, l'arte è rimanerci cinque giorni compresi due di viaggio e tornare interi.
Bene, un giorno di luglio di qualche anno fa, al termine di uno di questi spettacolari giri, stavamo mangiando a casa di Kevin (il giovanotto in camicia azzurra al centro della foto) poco prima del saluto. Abbiamo ricacciato tutte le riserve in caso di guerra (sai com'è, quando si va là non si sa mai) e lo stavamo spazzolando per fare onore agli amici che ci avevano ospitato. Per cui alici marinate come se non ci fosse un domani, qualcuno ha avuto il coraggio di addentare le anguille di Enrico; non si doveva lasciare niente in America, sennò pensa che onta. Una sorta di bicchiere (piuttosto grosso) della staffa. Insomma, contavamo di salutare satolli e con grande calma e grandi chiacchiere arrivare tranquilli all'aeroporto di Minneapolis come dei seri viaggiatori con due ore di anticipo rispetto all'imbarco che sarebbe avvenuto alle sette di sera.
Invece no.
Kevin mi fa: "Ti ricordi? Avevamo detto a Terry (quello più a destra nella foto, ndr) che saremmo passati a salutarlo...". Io: "E certo! Chiamalo tu, va, non mi far fare delle figure da idiota prima di partire, poi magari non capisco bene...". "Ok!" risponde fresco Kevin e chiama il nostro amico Terrence per gli amici Terry. Io continuo a mangiare imperterrito e sento di là Kevin che educatamente concorda l'appuntamento. Torna da noi e fa: "Ok, ci vediamo alle tre e mezza da Axel...". Io: "E chi è 'sto Axel?" "Un locale, è perfetto, sta proprio lungo la strada per l'aeroporto, molto vicino all'aeroporto...". "Bravo! E che si fa lì?" domando ingenuo. "Early dinner" fa Kevin. "Early dinner" penso tra me e me, "early dinner a casa mia è a cena presto... va be', dai, mo' che vorrà succedere alle tre e mezza? Al massimo due salatini e una birra, cacchio..." e archivio la cosa pensando a quant'è bravo l'americano che mi programma le cose e io non devo pensare a niente, né a guidare, né a che fare, né dove andare... proprio bravo! Mi rimane 'sta early dinner nella capoccia ma dai, su, non stare a fare il sottile...
Per cui terminiamo di pranzare, abbracciamo tutti gli amici, un po' di legittima commozione, sa, vanno via gli amici italiani, salutiamo gli amici americani... e via, si parte alla volta di Axel! Un bel pomeriggio di sole, temperatura accettabile, il piccolo Kevin che guida tranquillo in mezzo agli stradoni americani (le highways, un casino, le buche, le uscite, chi ci capisce, e poi quei semafori appesi a dieci metri dall'incrocio che mi fanno venire la sudarella anche se non guido...), tutto verde.
Arriviamo da Axel. Entriamo, un localone lungo come una pista di atletica, tutte luci e lucette che sembrava Natale, arredamento in legno scuro, tre o quattro pensionati che mangiano là dentro. Ammazza, penso, questi magnano a quest'ora... sono pazzi. Poi dicono che sono obesi, e te credo! Chiediamo del signor Terrence, il cameriere frizzante ci porta ancora più avanti, arriviamo al tavolo e c'è il mitico Terry che mi abbraccia e mi solleva come un sacco di patate, presentazioni, Tiziana, Enrico, Francesco, Kevin, "nice to meet you" o come dice Enrico "macciupicciu". Dopo un po' arriva anche John, il babbo di Abby, cui avevamo dato appuntamento lì. S'era perso nel localone enorme, praticamente stava nella contea confinante.
Si parla, si spiega, si dice, si racconta come va in Italia. Bello, bel clima. Arrivano i camerieri con le solite brocche d'acqua ghiaccia coi cubetti in quantità industriali. Portano un po' di porcheriole per accompagnare una birra che ordiniamo, così. Be', dico tra me e me, se questa è l'early dinner, come cacchio è che diventano tutti grassi, qua? E' che forse fanno troppe cene, perché se c'è la early ci sarà anche la late e allora sì, ti ingrassi, ma alla fine che vuoi che sia? Ignaro.
A un certo punto arriva il cameriere e ci dice di ordinare.
Scende il gelo tra gli italiani. Ci eravamo mangiati anche la callaretta della colla, come si dice da noi, e mo' si magna un'altra volta? E fino adesso che abbiamo fatto? Fino adesso abbiamo giocato, ragazzi. Voi siete pazzi, dico. Cerchiamo di cincischiare ma non c'è niente da fare. Gli americani ordinano, dicono delle robe che ho letto sul menu, ma che ne so che roba è? In ogni caso fanno sul serio. Enrico cerca di glissare e mi fa: "Avvocato, qualcosa di leggero?" Io: "Ma che ne so? Qua è scritto tutto a metafore... mica si capisce che se magna...". Allora lui fa lo splendido e fa a Terry: "Prendo quello che prendi tu!" tutto garrulo e sorridente. Io non mi fido. Chiedo un hamburger, capisco che è la roba più piccola che c'è e spero che sia davvero piccola. Tutti sorridenti continuiamo a chiacchierare quando ad un certo punto comprendiamo il clamoroso autogol di Enrico: arriva il cameriere con un pescione di lago lungo mezzo metro e una patata grossa come un meteorite integra, lessa, ma tutta intera! Io rido e faccio: "Mo' magnati quessa!". The American Potato, faccio. Terry capisce e ride pure lui. A me arriva un hamburger grosso come un disco volante e cerco di abbozzare. Finiamo di mangiare e siamo semidistrutti. Grandi saluti e abbracci, nuove amicizie, tutti contenti.
Riprendiamo barcollanti la strada per l'aeroporto. Salutoni a Kevin ridendo della early dinner, ci avviamo verso il check in. Rapidi come delle schegge passiamo i controlli, desk che scorre veloce, imbarco, partenza a razzo addirittura in anticipo perché c'eravamo tutti a pieno carico. Ah, faccio, mo' ci rilassiamo! Poi d'improvviso mi ricordo che stavamo su un aereo della Delta Airlines dove mi sa che pensano che ci sarà presto un carestia e allora conviene fare le scorte. "Enri', qua è la Delta" faccio, "mo' si ricomincia!". Lui subito: "No, io non mangio...". Tiziana idem. Io: "Ragazzi, voliamo a ottomila metri di quota... e se poi ti viene fame? Scendi un attimo al bar a prendere un tramezzino???". Mi guardano male ma alla fine mangiano pure loro! Bicchiere del benvenuto, stuzzichino di accompagno, cenetta alle sette e trenta circa, mentre sorvolavamo chissà, forse il Wisconsin, caffè, non l'ammazzacaffè però una coca-coletta per far calare tutta 'sta roba...
Tutto come da programma scritto sul pieghevole della Delta: a tot minuti e tot metri si magna, a tot metri e tot minuti si digerisce...
P.S.: nella foto mancano solo Big John che ancora non s'era ritrovato ed Enrico che la scattava, ma come si vede pensavamo ancora di scamparla.
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