«Parte? Dalla parte di nessuno, perché nessuno è dalla mia parte, piccolo orco».
Barbalbero risponde a Merry e Pipino, in John Ronald Reuel Tolkien, Il Signore degli Anelli.
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Qual era dunque “il Partito della Contea” per il quale il brillante scrittore inglese militava? Era un conservatore, un’ecologista, o forse addirittura un precursore del sovranismo? (...) vorrei dire la mia, chiamando in causa lo stesso Tolkien. La citazione è naturalmente tratta da Il Signore degli Anelli e proviene da un personaggio tanto fondamentale quanto sottovalutato da molti lettori e spettatori dei film tratti dal romanzo: Barbalbero. Egli è un Ent, un pastore di alberi, una creatura antichissima della Terra di Mezzo la cui grande saggezza deriva dall’essere stato testimone di molti eventi e conflitti.
Nel corso di una vivace conversazione con i due Hobbit Merry e Pipino, che cercano di convincerlo a scendere in campo nella Guerra dell’Anello, Barbalbero si sente rivolgere una domanda cruciale: ma tu da che parte stai? Ovvero con chi ti schieri, qual è il tuo partito. La risposta di Barbalbero è pronta: «Parte? Dalla parte di nessuno, perché nessuno è dalla mia parte, piccolo orco».
Questa reazione, venata da una nota di triste amarezza, non impedirà comunque all’Ent di dare il proprio decisivo apporto nella battaglia contro Saruman, contro il disegno dell’Oscuro Signore di imporre al mondo il suo potere. Tuttavia l’espressione di Barbalbero è molto significativa, e forse potrebbe essere utilizzata come chiave interpretativa per comprendere Tolkien e la sua visione del mondo.
Perché preoccuparsi da quale parte stare, quando nessuno – o quasi – si preoccupa di dove sto io, ovvero di ciò che mi sta a cuore, in cui credo, per cui lotto e soffro? Chi stava dalla parte di questo ragazzo cresciuto nella periferia di Birmingham, che aveva perso da bambino il padre, la cui madre si convertì al cattolicesimo sull’esempio del grande John Henry Newman, e che portò con sé i figli nella via gloriosa e dolorosa della Chiesa in Inghilterra, una via di martirio, di persecuzione, di discriminazione?
La visione del mondo di Tolkien è l’esito di questo percorso, di questa identità di cattolico inglese. Non poteva quindi avere idee nazionaliste, o tantomeno imperialiste. Amava la “Merry England” medievale, non certo l’Impero Britannico.
(...)
Combatté nella Prima guerra mondiale vedendo e descrivendo la crudeltà e l’ottusità dei suoi comandanti.
Negli anni Trenta assisté all’ascesa dei totalitarismi, e fu critico durissimo e ironico delle pretese razziali del nazismo. Suo figlio maggiore che studiava per il sacerdozio a Roma dovette fuggire nel 1940 dai fascisti che lo volevano far prigioniero. Conobbe i bombardamenti della guerra, ma si rese perfettamente conto (...) che i vincitori Alleati non erano delle sedicenti “forze del bene” e che altri mali sarebbero arrivati.
Paolo Gulisano, prefazione a Luca Fumagalli, La società della Contea - Appunti sulla filosofia politica di J. R. R. Tolkien
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