Proviamo a osservare, pensare e giudicare quello che sta accadendo.
La crisi è frutto del capitalismo. Non di un capitalismo "malato". Il capitalismo è già di per sé malato. La malattia sta nel fatto che, nel migliore dei casi, esso trascura l'uomo nella sua dimensione complessiva, fatta di coraggio, umanità e gratuità (non parliamo poi del capitalismo delle banche! Quelle che ti chiedono garanzie dieci volte più alte del liquido che ti concedono! Dieci? Spesso anche di più, ma silenziosamente, cripticamente, nell'accettazione di chi dice: se li vuoi, queste sono le condizioni, e poi garantire non significa che le garanzie verranno necessariamente usate... Tutto si consuma spesso in questo ragionamento circolare che ha poco o nulla di ragionevole).
Il guaio non sta nel profitto, ma nel profitto fine a se stesso e nella remunerazione smisurata dell'uso della moneta (oltre che nel fatto che si crede che l'economia sia la moneta, mentre l'economia è fare, e il mercato è solo un parte del processo e non il tribunale senz'appello di tutto e tutti).
Se non viene adoperato per il bene comune (nelle forme più diverse ed originali), il denaro ha come una vita propria che in sé non avrebbe, e fatalmente ammalora a fa marcire tutto ciò che tocca e che lo trattiene.
Il secolare anatema della Chiesa contro l'usura trova la sua ragione in questo.
Usura, cioè consumare come l'acqua ferma qualsiasi cosa, anche la vita umana.
Perché non riprendiamo a pensare a questo in termini concreti? Guardate, anche il calcio è un esempio di quest'usura, se volete. Pensate alla sproporzione tra ciò che i campioni internazionali ricevono per alcune sgambate in campo e le sgambate stesse.
Non è solo quantità, è anche il fine che non è giusto.
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